Gli organi di disinformazione di massa hanno colpito ancora.

Ieri la corte di cassazione riunita a sezioni unite ha stabilito che la vendita di derivati di canapa in particolare oli, resine, infiorescenze, foglie non rientra nell’applicabilità della legge 242/16; in caso di vendita al pubblico (il che significa che la vendita B2B di qualsiasi derivato di cannabis è ancora soggetta alle salvaguardie della 242/16) va applicata la legge 309/90 e considerato reato salvo che i prodotti siano privi di efficacia drogante, quindi con un THC al di sotto dello 0,5%.

Riassumendo: qualsiasi derivato di cannabis con un THC pari o inferiore allo 0,5% non è considerato sostanza drogante e quindi la sua cessione  e la sua detenzione non costituiscono reato. Non vi è alcuna legge dello stato che legifera e permette la vendita di derivati di cannabis al pubblico, salvo quelli elencati “dettagliatamente” nella legge 242/16  che legifera e permette la coltivazione di Cannabis Sativa L. per diversi usi tra i quali il florovivaismo, quindi vendita di piante ornamentali e (in contrasto con questa sentenza della cassazione) fiori recisi ornamentali, come peraltro stabilito dalla circolare del ministero dell’agricoltura del 23/05/2018 (https://www.politicheagricole.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/12649).

La sentenza di ieri aumenta il clima di incertezza e la vulnerabilità dei coltivatori di Cannabis, ha peggiorato la situazione di vuoto normativo nella quale ci troviamo. Ribadisce concetti già presenti nella giurisprudenza (limite 0,5%), non chiarisce quando si applica la 242/16, dichiarandola una legge che indica dettagliatamente i prodotti che si possono ottenere dalla coltivazione della cannabis; quando è ovvio che se si è arrivati a richiedere questa sentenza è proprio per la mancanza di chiarezza della 242/16.

I giudici hanno deciso di non decidere e i giornali hanno interpretato a modo loro la non decisione.

Vendere cannabis e suoi derivati con un THC inferiore allo 0,5% non è mai stato reato, a prescindere dalla provenienza del prodotto.

Nulla di nuovo, oggi sul mercato si trovano prodotti non conformi alla 242/16, perché non provenienti da varietà certificate e importati dall’estero, ma siccome rispettano il limite dello 0,5% di THC e quindi la vendita non costituisce reato non sono mai stati tolti dal commercio.

Con questa sentenza si elimina la distinzione tra un prodotto venduto al pubblico coltivato seguendo la 242/16 e un prodotto qualsiasi con THC inferiore allo 0,5%.

La conseguenza più grave è che la decisione presa ieri dalla cassazione potrebbe dar luogo all’interpretazione che i cotivatori che vendono direttamente il proprio prodotto non sono più tutelati dalla 242/16 che in qualunque caso di sforamento oltre lo 0,6% di THC non imputa alcuna colpa al coltivatore e ha come unica conseguenza la distruzione del raccolto.

In questo modo viene attaccata la vendita diretta.

I piccoli produttori di fronte al rischio di venir imputati per spaccio smetteranno di vendere direttamente, cosa che con i prezzi stracciati del mercato all’ingrosso permetteva la sopravvivenza di molti.

Verrà lasciato spazio solo alle aziende di medie o grandi dimensioni che possono permettersi di mettere a costo migliaia di euro di spese legali, il prezzo finale dei prodotti di conseguenza aumenterà per via dei maggiori costi di produzione e della minor concorrenza.

Ora le strade sono tre: o si intaseranno i tribunali con processi che arriveranno tutti all’assoluzione, o verrà legiferata la vendita di derivati di Cannabis sotto lo 0,5% di THC o si farà finta di niente e si continuerà a vendere profumatori per ambiente e oggetti da collezione “privi di efficacia drogante”.

Giacomo “Canva”
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