CampiAperti

Agricoltura biologica e mercati contadini per l'autogestione alimentare

Categoria: Opinioni

  • MIX’ART MYRYS, Tolosa: vedi… l’ In Comune è!

    MIX’ART MYRYS, Tolosa: vedi… l’ In Comune è!

    A seguito di una visita senza preavviso di una commissione di sicurezza del municipio di Tolosa il 14 gennaio 2021, il collettivo di artisti MIX’ART MYRYS è stato notificato di una chiusura amministrativa mercoledì 20 gennaio e non può più ricevere il pubblico, compresi i suoi stessi membri, nell’edificio situato al 12 rue Ferdinand Lassalle, quartiere Ponts Jumeaux a Tolosa.

    COMPRESO IL PURO PRETESTO PER ATTACCARE UNO DEGLI INNUMEREVOLI SPAZI SOCIALI nel continente, GESTITI DA ASSEMBLEE DI PERSONE CONSENSUALI E RECIPROCHE; questo è la risposta del Mixart-Myrys, a cui noi aderiamo.

    Musica! 🙂

    Se non ne hai mai sentito parlare, qua qualche info: http://www.mixart-myrys.org/le-lieu/

    ::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::

    L’In comune è

    Rispondere al bisogno democratico che scuote la società.
    Occuparsi del legame inseparabile tra risorse e usi.
    Riconsiderare i beni comuni come appartenenti a tutti.
    Ripensare la società in modo che tutti possano assumersene la responsabilità.
    Combattere l’anomia culturale e ricostruire la società coinvolgendo tutti nel processo.

    I Comuni sono aria, acqua, cibo, salute, educazione, energia, cultura, iniziative dei cittadini, spazio pubblico, inclusa la sicurezza…

    Questo appello è su iniziativa del collettivo di artisti autogestito Mix’Art Myrys – uno spazio cittadino di sperimentazione sociale e culturale, protagonista della cultura di Tolosa dal 1995 – che il Comune e Toulouse Métropole stanno cercando di sfrattare dai loro locali. E questo nonostante il forte sostegno della popolazione, delle istituzioni e degli attori della società civile.

    Con questo appello vogliamo partecipare ad una nuova griglia di lettura, affinché possa seguire una riflessione/azione sulle modalità pratiche di attuazione di una società basata sui Comuni.

    Dopo gli attacchi senza precedenti della città di Tolosa contro Mix’Art Myrys, la popolare sala di musica Bleu Bleu, il centro di accoglienza d’emergenza DAL 31/ Fondazione Abbé Pierre, il giardino condiviso Fontaine Lestang, lo spazio di ricerca e creazione contemporanea Pavillon Mazar

    Possiamo solo constatare che la nuova maggioranza del municipio e di Metropolis di Tolosa non vuole più sentir parlare di iniziative dei cittadini, di auto-organizzazione degli abitanti, di Comuni. Compreso quando queste iniziative sono collegate alle politiche pubbliche esistenti.

    Queste scelte politiche a livello locale, vere e proprie negazioni della democrazia, si inseriscono in una dinamica preoccupante a livello nazionale. Basta fare riferimento al Consiglio di difesa della salute, che è al di fuori di ogni controllo parlamentare.

    Tuttavia, l’emergenza climatica, democratica, sociale e societaria rende sempre più evidente che diventa indispensabile pensare alle politiche pubbliche, all’utilità pubblica e all’interesse generale in termini di Comuni.

    Di fronte al fallimento delle politiche pubbliche, di un sistema produttivo basato su un’economia speculativa che non è più sostenibile, vogliamo fare un passo indietro e lanciare una riflessione per

    UN NUOVO CONTRATTO SOCIALE, UN ALTRO RAPPORTO CON IL MONDO

    Per ridefinire l’interesse generale e la pubblica utilità, compresi i servizi pubblici. In termini di mezzi e in termini di governance che coinvolge utenti e professionisti. Soprattutto, rendendo possibile a tutti di essere coinvolti nei Comuni, che sia la protezione dei Comuni naturali come l’aria e l’acqua, la riappropriazione di quelli della salute, dell’educazione, dell’energia, del cibo… o la creazione di altri Comuni.

    Un diritto sancito dalla Costituzione può essere una leva che vi opera. È il Diritto alla Sperimentazione, la cui attuazione appartiene alle autorità locali, contando su cittadini, gruppi di abitanti, associazioni che da tempo incarnano la popolazione che propone, organizza ed esprime la sua volontà di partecipare alla Cosa Pubblica.

    Gli esperimenti locali che si stanno facendo: AMAP, giardino condiviso, mensa popolare, zona da difendere, collettivo di artisti, luoghi intermedi e indipendenti, riciclaggio, catena di solidarietà e, tra gli altri, il movimento dei Gilet Gialli, attestano questa volontà.

    Così, per un nuovo contratto sociale i cui contorni sono già definiti da molte forze, esigiamo questo Diritto alla sperimentazione.

    Siamo consapevoli che questa richiesta ci impone di ripensare la mancanza “organizzata” della nostra disponibilità e del nostro tempo.

    NUOVO RAPPORTO CON IL TEMPO E I MEZZI DI SUSSISTENZA

    Troppo poche persone hanno sperimentato, durante la prima reclusione, un rapporto con il tempo diverso da quello imposto da un’organizzazione del lavoro obsoleta. Hanno riscoperto l’importanza delle relazioni con gli altri, con i vicini, con la famiglia, l’importanza delle pratiche di solidarietà, delle pratiche artistiche e culturali, delle pratiche sportive, della cura, l’importanza del tempo dedicato alla riflessione, al pensiero, l’importanza del tempo libero!

    Associare gli abitanti alla Democrazia, alla Cosa Pubblica implica la realizzazione di un ambiente favorevole alla disponibilità della persona e alla sua altezza di vista allora possibile. Ciò implica questo tempo liberato. Implica che la persona ha i mezzi per farlo. Una forma di reddito minimo vitale non è più un tabù, diventa anche un’emergenza. Come condizione necessaria per l’effettiva partecipazione dei cittadini, è necessario partecipare a un Diritto di Sperimentazione.

    Questo contesto favorevole può allora permettere il confronto costruttivo degli esperti istituzionali – in ecologia, economia, diritti e nuovi diritti, sociologia e in qualsiasi settore che compone la/e Comunità – con gli esperti quotidiani che ognuno è. In risposta alle emergenze che affrontiamo, si mette allora in moto un processo di responsabilizzazione di tutti, un potere di essere e di agire.

    È in questo senso che Mix’Art Myrys chiama ampiamente per 30 giorni di azione e riflessione sul territorio per il “IN COMUNE, LIBERO E NECESSARIO”.

    Azioni e riflessioni in comune che ognuna, ognunu definirà a partire dal suo campo d’intervento, il suo luogo, il suo territorio, la sua azione dalla più simbolica (mettere questo testo d’appello sul suo luogo, il suo quartiere, il suo balcone, internet…) alla più visibile (organizzazione di dibattiti/conferenze, raduni, manifestazioni che rivendicano questo In Comune…). Fateci sapere le iniziative che prenderete ovunque vi troviate sul pianeta!

    La Manifestazione del 6 marzo alle 14H00 a Tolosa aprirà queste quattro settimane.

    In Common(s) per la salute, la cultura, l’educazione, l’energia, l’alimentazione, l’iniziativa dei cittadini… siamo in Common(s)

  • Strade e piazze davvero libere per tutt*!

    mi sa che mi ero già espressa su change.org qui, però hoi.. di nuovo.

    capisco eh che siamo alla disperazione per far sentire la nostra voce, senza scendere in piazza ed ammassarci sotto palazzo d’accursio, ma quelli di change.org sono una azienda americana che fa soldi sui vostri dati/gusti/interessi, etc.. ed è sensato NON dargli “autorevolezza”, secondo voi come li pagano 300 dipendenti?

    pagina in italiano https://en.wikipedia.org/wiki/Change.org

    ed in inglese: https://en.wikipedia.org/wiki/Change.org#Criticism

    Poi ho visto oggi che è possibile mandare proposte/lamentele al nuovo piano regolatore: di cui ho solo letto i titoli e partemalissimo.. nelle righe io ci leggo “città da svendere alle aziende”. Qua pare possibile fare controproposte: http://partecipa.comune.bologna.it/proposte-miglioramento-pug  Se qualcuno ci crede che saranno rispettate le può fare lì. Magari su tutta sta campagna di varia gente, è più sensato indirizzarli lì? Ma vedo tra i firmatari c’è gente che è già in comune.. bho.. o non lo sanno o si propongono come intermediari degli intermediari??! non capisco.. mi sembra una mossa per usare la gente e l’emergenza.

    A proposito.

    Poi altra cosa, visto che ho letto quel documento. Proporre misure emergenziali per farle passare a Permanenti è una strategia pessima. Nel senso che avvalla un modus operandi malvagio.

    Ci sono le misure di emergenza e ci sono le proposte per il benessere della vita quotidiana.

    Le misure di emergenza devono SEMPRE essere abolite dopo l’emergenza proprio perchè straordinarie in situazione straordinaria, NON normale.

    Proporre la pedonalizzazione e spazi di socialità è semplicemente una scelta politica, contraria alle scelte politiche precedenti, che hanno sbagliato. E va rivendicata come tale.

    A voi cosa dice questo manifesto dello sgombero di XM24 e della sani?!** e di tutte le aggregazioni informali che vengono soffocate quotidianamente e della polizia che “vigila contro il bivacco” che significa anche semplicemente sedersi in terra? quando dalle firme che leggo mi sembrano molti che di spazi ne hanno già assegnati e sono preoccupati di averne di più per l’estate… per poi magari privatizzarseli, vedi il guasto, che ci stai solo con un cocktail in mano da 7 euro.

    Questa la mia opinione. Poi mi va bene bene che la firmiamo pure noi. Però come Campi Aperti dovremmo trovare un modo per salvaguardare la socialità informale.

    Insomma, tutti sono in crisi in questo periodo in cui molti hanno perso il lavoro o si sono trovati bloccati, come noi.

    Però va trovata una via che sia per tutti, non solo per pochi.

    Quindi Sì a piazze libere e strade aperte, senza tutori o associazioni garanti.

    ciao Cristina

    ** e di un’altra decina di spazi autogestiti dal basso con il metodo del consenso?!

  • Infrastruttura in CA

    Infrastruttura in CA

    Metodo del consenso, connessione internet casalinga, server autogestito.

    Ecco il video della presentazione di 30 min tenuta al Chaos Computer Congress 2019

    grazie a MAG6 reggio emilia

    LE SLIDE COMPLETE IN PDF

    https://www.campiaperti.org/wp-content/uploads/2020/01/36c3_Talk_on_infra_CA.cleaned.pdf

    SLIDE COMPLETE IN HTML

    https://campiaperti.org/infra/

    _______________________

    Segnaliamo anche il seguente talk:

    From Managerial Feudalism to the Revolt of the Caring Classes

    David Graeber

  • Incontro con tetaneutral di Tolosa

    Martedì 16 settembre, ore 19, presenteremo il nostro progetto di autonomia alimentare ad un gruppo che tratta autonomia e neutralità nelle rete internet.

    https://tetaneutral.net

  • Presentazione CA al CryptoRave a Sao Paulo

    Presentazione CA al CryptoRave a Sao Paulo

    Come una piccola comunità gestisce i propri dati con un occhio alla privacy.

    Cryptorave è un evento che da 6 anni raccoglie interventi da tutto il mondo per ragionare sopra i concetti di intimità digitale, di confidenzialità dei gruppi e di anonimato. Parallelamente a denunciare tutti i casi possibili di aggressione ai diritti umani nella sfera digitale, al controllo dell’informazione ed alla costruzioni di monopoli tecnici.

    Cryptorave si ispira agli eventi decentralizzati e gratuiti cryptoparty

    Questa la nostra presentazione:

    https://cpa.cryptorave.org/pt-BR/cr2019/public/events/365

    Questo il programma completo:

    https://cpa.cryptorave.org/pt-BR/cr2019/public/events

    Palestra: Campi Aperti – autohospedagem, rede mesh e soberania alimentar

    Comida e comunicação local

    Nesta atividade falaremos sobre a organização campesina Campi Aperti da Itália e a rede Genuino Clandestino. Somos um grupo que decide via metodo de consenso e praticamos a autonomia alimentar e tecnológica próximo de Bologna, Itália.

    Vamos falar da intenção política do grupo, do método e porque e como decidimos, principiando a autonomia alimentar, de organizar a nossa infraestrutura de comunicação. Vamos explicar como praticamos em analogico e em digital, a confidencia de vizinhança. Temos uma pequena rede mesh e praticamos a autohospedagem de uma nuvem (cloud). Temos email e sitio web num servidor autogestionado e não guardamos os logs dos visitantes. A palestra será politica e tecnica sobre os instrumentos que usamos.

    A CryptoRave é aberta e gratuita – basta inscrição online – e será realizada na cidade de São Paulo. Inspirada em uma ação global, descentralizada para disseminar e democratizar o conhecimento e conceitos básicos de criptografia e software livre, o evento teve início em 2014, como reação à divulgação de informações que confirmaram a ação de governos para manter a população mundial sob vigilância e monitoramente constante.

  • Questo non è un mercato!

    Questo non è un mercato!

    Campiaperti è un gruppo organizzato di persone alla pari!

    Campiaperti coltiva la biodiversità e l’indipendenza da OGM e brevetti dei semi.

    Leggi a proposito del miscuglio Ceccarelli

  • Sottoscriviamo e ripubblichiamo la risposta di una contadina alla senatrice Cattaneo

    Cara senatrice Cattaneo, proviamo brevemente a rispondere al suo articolo “Il biologico? Sì fa bene. Ma solo a chi produce”, che nei giorni scorsi ha suscitato diverse polemiche. È scritto con grande astuzia e ad una prima lettura suscita disdegno e disapprovazione, soprattutto per le parole rivolte agli agricoltori biologici e al consumo critico. Ma la sua astuzia è stata proprio in questo attacco frontale al mondo del biologico, che ha catalizzato l’attenzione del lettore spostandola dal vero tema che troviamo solo in conclusione. Sì perché, parliamoci chiaro, questo non è il primo degli articoli scritti per mano di ricercatori o scienziati che hanno come vero obiettivo quello di promuovere le nuove biotecnologie e di legittimare gli ingenti finanziamenti pubblici destinati proprio alla ricerca sulle nuove tecniche di breeding, in particolare il genome editing e la cisgenesi. La scorsa estate il governo italiano ha infatti approvato e finanziato il progetto “Biotecnologie sostenibili per l’agricoltura italiana” con 8 milioni di euro, ma questo Senatrice, lo sa meglio di noi! Le sue posizioni, fortemente ideologiche, sul biologico e la sottile accusa di conservatorismo verso coloro che rifiutano l’agrochimica non sono altro che la costruzione di una narrazione tossica, che ha l’obiettivo di promuovere culturalmente le ultime acquisizioni dell’ingegneria genetica. È proprio di questo che ci parla nell’articolo quando afferma “ora possiamo cambiare poche lettere nel DNA e rendere la pianta resistente a parassiti riducendo irrorazioni di antiparassitari ed erbicidi”, semplificando all’estremo delle tecniche di manipolazione genetica, come se fossero “lavoretti di taglia e cuci”, ci vuole far credere che l’uomo può plasmare la natura a suo piacimento senza alcuna controindicazione. E lo fa sostenendo, in maniera fideistica più che critica e scientifica, che questa sia l’unica linea di ricerca possibile, la sola strada percorribile. Cara senatrice le nuove biotecnologie non sono altro che la prosecuzione sotto mentite spoglie della Rivoluzione Verde (che lei infatti non perde occasione di difendere) e dell’agricoltura industriale che ha contribuito alla crisi ecologica e climatica che oggi viviamo, alla quale i produttori, non solo biologici, e i consumatori critici cercano di porre rimedio. Con il sostegno della ricerca potrebbero farlo molto meglio e più efficacemente. Ma la strada imboccata, purtroppo, è un’altra.

  • Perchè NO

    Perchè NO

    di Gianluca D’Errico su “gli Asini”  – puoi leggerlo qui

  • Combattente italiano delle Ypg manda un messaggio all’Italia dal Rojava

    Combattente italiano delle Ypg manda un messaggio all’Italia dal Rojava

    Pubblicato su Infoaut un video con l’appello di un combattente italiano in Rojava, che potete trovare qui.

    Di seguito il testo integrale dell’appello contenuto nel video

    Questa é la Siria, e questo é il fronte di guerra contro l’Isis.

    Questa é la rivoluzione del Rojava, mentre dall’altro lato di queste trincee c’é lo stato islamico con i suoi orrori; e oltre le colline, in fondo, c’é la città di Raqqa.

    Noi siamo le Forze Siriane Democratiche, le Ypg e le Ypj: le unità di protezione popolare e le unità di protezione delle donne. Il nostro esercito conta più di centomila combattenti: donne e uomini; curdi, arabi, armeni, assiri, circassi, turcomanni, internazionali. Dopo la vittoria di Kobane, queste forze hanno inflitto all’Isis sconfitte su sconfitte; e il 25 maggio abbiamo lanciato l’offensiva su Raqqa, per circondarla e tagliare ogni comunicazione tra l’Isis e il mondo esterno.

    Su questo fronte, nella città di Menbij, che abbiamo liberato, nella regione di Sheeba, abbiamo patito centinaia di morti, migliaia di feriti; ma stiamo vincendo; e il nemico più temibile che ci troviamo ad affrontare adesso non é quello che abbiamo di fronte, ma quello che ci sta pugnalando alle spalle. Sono le potenze regionali e internazionali che a parole dicono di volere la libertà in Siria, ma nei fatti stanno cercando di strangolare la nostra resistenza e la nostra rivoluzione.

    Da oltre sei mesi, infatti, siamo vittima di un embargo totale, economico, sanitarioş diplomatico, ad opera della Turchia e del Pdk, un partito la cui milizia controlla il confine internazionale dell’Iraq. Per questo ci troviamo sempre più spesso a combattere senza cibo ne’ acqua, senza neanche i medicinali per curare i feriti; e la popolazione del Rojava é allo stremo, assetata, sempre più spesso senza elettricità. Il Pdk impedisce anche ai giornalisti di entrare, cosi’ che nessuno sa veramente che cosa sta accadendo qui.

    E adesso che la Turchia ha invaso il Rojava e la Siria, occupando Jarablus e compiendo un massacro a nord di Menbij; ora che l’artiglieria turca fa fuoco su tutto il Rojava, da Afrin a Tel Abyad, da Derbesiye ad Amude fino a Derik, arrivando a minacciare anche Kobane; adesso che l’embargo si é trasformato in attacco; tanto più ora c’é bisogno che le persone possano venire qui, per denunciare che lo stato islamico, a Jarablus, non ha sparato un colpo contro l’esercito turco, perche’ si é trattato di uno scambio di territori; che l’esercito turco ha varcato i confini della Siria esclusivamente per attaccare noi, le Forze Siriane Democratiche, e il modello politico di autogoverno popolare che difendiamo – che terrorizza il sultano Erdogan perché si sta diffondendo anche entro i suoi confini.

    A denunciare che se si chiede a qualsiasi siriano che cos’é questo fantomatico “Esercito Libero Siriano” di cui tutti i media occidentali parlano, qui si mettono tutti a ridere: perché se qualcosa del genere é mai esistito, sono anni che non esiste più; e le milizie che si sono installate a Jarablus grazie all’appoggio della Turchia e di tutto l’Occidente hanno nomi e cognomi. Si chiamano Ahrar al-Sham, Jabat al-Nusra-Fatah al-Sham (Al Qaeda), Liwa Sultan Murad: bande di fanatici tagliagole in tutto e per tutto identiche all’Isis, che sono pronte già domani ad aiutare l’Isis a colpire nuovamente in Europa.

    Per questo io, combattente italiano delle Ypg, mi rivolgo e tutte e tutti voi che ascoltate dall’Italia, e vi chiedo di alzare un grido per la libertà di Jarablus e per la difesa di Menbij, allo stesso modo in cui quel grido si é alzato in tutto il mondo due anni fa per la difesa di Kobane – ve la ricordate Kobane? Quello che a Kobane é stato conquistato due anni fa, bisogna difenderlo ora. Io mi rendo conto che i nomi di queste città possono sembrarvi lontani, ma credetemi: quel che accade qui, in questo mondo globale, puo’ trasformarsi nei nostri lutti già domani, in Europa, e allora piangere non servirà, purtroppo: bisogna che tuttİ ci prendiamo le nostre responsabilità già adesso.

    Per la stessa ragione io mi rivolgo a lei, presidente del consiglio dei ministri del governo italiano, Matteo Renzi: cinguettare su Twitter quando il sultano Erdogan insulta il nostro paese non basta. Si prenda le sue responsabilità: interrompa – adesso! – ogni relazione commerciale, militare e diplomatica con lo stato turco; e dimostri cosi’ se davvero lei sta dalla parte di chi combatte i nemici dell’umanità, o se piuttosto siede a tutela di un altro genere di interessi.

    In secondo luogo, mi rivolgo a lei, Federica Mogherini, alto commissario dell’Unione Europea per gli affari esteri. Sotto il suo mandato i rapporti dell’Unione Europea con la Turchia sono diventati sempre più imbarazzanti, al punto che si vogliono regalare miliardi di Euro al sultano Erdogan: proprio quello che fa massacrare i civili curdi entro i suoi confini, che fa arrestare migliaia di oppositori, che da anni appoggia tutti i gruppi più reazionari che agiscono in Siria – compreso l’Isis. Voi, lei, fingete di non sapere tutte queste cose, perche’ la Turchia é un partner strategico per l’Unione Europea, sotto il profilo militare, commerciale, ed anche della vostra cinica gestione dell’immigrazione. Allora dovete dire anche voi, deve dire anche lei da che parte sta: se dalla parte di chi combatte l’Isis, o di chi lo usa.

    In terzo luogo voglio rivolgermi anche a lei, Staffan de Mistura, anche lei italiano, Inviato Speciale delle Nazioni Unite in Siria. Lei ha escluso le Forze Siriane Democratiche da qualsiasi negoziato di pace riguardante la Siria, nonostante questo sia il più grande esercito popolare e rivoluzionario di tutto il paese, e nonostante il Congresso Siriano Democratico, che lo rappresenta, sia l,unica realtà in grado di assicurare alla Siria un futuro confederale, basato sulla pace e sulla convivenza tra i popoli. Lei pero’ ci ha esclusi dai negoziati di pace perche’ glielo ha chiesto, ancora una volta, il nostro nemico, il sultano Erdogan; ma allora metta la faccia di fronte al mondo, de Mistura, e risponda a una domanda: é più importante la vostra amicizia con il sultano, o é più importante la pace in un paese martoriato e distrutto?

    Peccato che ci siano buone ragioni per credere che lei non sappia rispondere a questa domanda, se é vero che lei, a Ginevra, ha accolto a braccia aperte persino i criminali del Fronte Islamico, che lei chiama “opposizione siriana”, ma che sono in realtà un’accozzaglia di fanatici che vogliono imporre uno stato islamico su tutta la Siria, esattamente come l’Isis, responsabili del massacro di centinaia di cristiani, di armeni, di assiri, di curdi nel nord di Aleppo. Ciononostante lei stringe le loro mani, perche’ sa che dietro il Fronte Islamico c’é un’altra delle vostre amicizie impresentabili: l’Arabia Saudita. L’Arabia Saudita, pero’, é uno stato islamico a sua volta, che decapita le persone negli stadi, che promuove la lapidazione delle donne, dal cui interno provengono i più ingenti finanziamenti occulti all’Isis di tutto il medio oriente; e nonostante questo lei, de Mistura, a Ginevra ogni volta si inchina all’Arabia Saudita, e sa perché? Perché l’Arabia Saudita possiede il petrolio. Allora dica anche lei, chiaramente, da che parte sta: se dalla parte della pace, o della tutela di un altro genere di interessi.

    Ditelo tutti e tre, alle popolazioni che governate, quello che state facendo; ma badate, e soprattutto lo sappiano le italiane e gli italiani: tutte le armi che il governo italiano sta vendendo all’Arabia Saudita, tutti i soldi che l’Unione Europea sta regalando al governo turco si trasformano nei proiettili che ci uccidono su questo fronte; si trasformano nelle mine che fanno a pezzi i nostri compagni; si trasformano negli esplosivi che spezzano tante vite civili tanto in medio oriente, quanto in Europa.

    Voi dite di proteggere le popolazioni che governate, ma siete soltanto attori di uno spettacolo; uno spettacolo macabro, in cui pero’ le vittime sono reali; e le vittime siamo noi, la gente comune – tanto in Europa quanto in Siria.

    E a questo proposito: tu, Matteo Salvini, che in questo spettacolo perdi continue occasioni per stare zitto; che ad aogni nuovo attentato ti cali come un avvoltoio sui cadaveri ancora caldi delle vittime per imbastire la tua propaganda da quattro soldi, per cercare di mettere le persone le une contro le altre, per additare come colpevoli dei poveracci che non c’entrano niente; tu agisci soltanto per il tuo interesse personale, per la tua sete di potere, per la tua sete di carriera. Non avevi forse detto che eri pronto a venire a combattere l’Isis in prima persona, in Siria? Io qui in Siria ti ho cercato, Salvini, ma non ti ho trovato. In compenso ho trovato migliaia di ragazzi arabi, curdi, iraniani, turchi, che combattono con noi volontari internazionali l’Isis spalla a spalla, che con noi rischiano di morire; che muoiono, che perdono le gambe, le braccia, gli occhi, anche per proteggere gente come te; per proteggere le loro famiglie e i loro cari, ma anche per proteggere le nostre famiglie, i nostri cari.

    Care italiane, cari italiani, credetemi: sono questi gli unici amici che abbiamo: sono le ragazze di Kobane, che hanno difeso la loro città dall’Isis armi in pugno; sono i ragazzi di Raqqa, che vogliono tornare nella loro città, per liberarla. Sono le persone che costruiscono, qui in Rojava, la rivoluzione delle donne, la rivoluzione delle comuni; quella che dovremmo fare anche noi, in Europa.

    Per questo vi chiediamo di supportare le Forze Siriane Democratiche, le Ypg e le Ypj: andate su Internet, informatevi; mobilitatevi contro l’embargo che ci colpisce, mettetevi in viaggio. Qui c’é bisogno di medici, di volontari, di cibo, di medicinali. Qui c’é bisogno di un’informazione libera. Qui come altrove non c’é bisogno di invasioni militari. Il medio oriente ne ha viste già troppe. Qui c’é bisogno di supportare una rivoluzione in armi: la rivoluzione del Rojava. I liberatori non esistono: sono i i popoli che si liberano da sé; e questo il Rojava lo sta dimostrando.

    Infine, vogliamo mandare da questo fronte un saluto in memoria di Valeria Solesin, caduta negli attacchi di Parigi dello scorso novembre, e a tutte le vittime degli attentati dell’Isis a Parigi, a Bruxelles, a Nizza, a Orlando, a Baghdad, a Beirut, ad Ankara, a Suruc, a Qamishlo e in tutte le città della Siria e del mondo che hanno patito o patiscono la violenza dell’Isis. Noi non le dimentichiamo, come non dimentichiamo tutti le combattenti e i combattenti caduti per la libertà del Kurdistan, della Siria, del medio oriente, per la libertà dell’Europa e del mondo.

    Hevalen, Serkeftin!

    Hasta la victoria siempre!

    Un combattente italiano delle Ypg

  • Sgancia la moneta!

    Sgancia la moneta!

    Dato che ci frulla in testa da un po’ l’idea di una moneta sociale siamo andati a incontrare Luca Iori ed Enrico Manzi di Mag6. Siamo andati da loro perché hanno un sacco di idee e competenze in materia economica e perché loro una moneta sociale l’anno già fatta: si chiama BUS, buono di uscita solidale.

    Dato che abbiamo chiesto di parlare alla prossima assemblea  di CA della questione proviamo  a dare alcuni elementi di conoscenza e di riflessione su questo divertente tema, per iniziare a far circolare qualche idea non del tutto scontata.

    Innanzitutto cerchiamo di rispondere alla domanda: a cosa serve una moneta sociale (o comunitaria o territoriale o complementare che sia)?

    Ci sono diversi motivi  politici che ci spingono ad avviare delle sperimentazioni in questo settore dell’economia. Li accenniamo soltanto:

    – ampliare la comunità che pratica economia popolare a Bologna

    – diffondere pratiche di autogestione innovative, concrete, creative, inclusive ed espansive

    – iniziare a darci degli strumenti di autogoverno che servano ad affrontare eventuali precipitazioni della crisi.

    – creare uno strumento affinché il denaro non venga accumulato ma redistribuito

    – iniziare a riconoscere il lavoro di cura/ lavoro sociale normalmente non retribuito

    Oltre a queste nobili aspirazioni diffondere una moneta sociale potrebbe portare ad aiutarci a potenziare le nostre piccole economie esistenti. Per spiegare in che modo riportiamo un esempio reale: questa primavera in Sardegna, durante l’incontro di Genuino Clandestino, abbiamo per caso incontrato alcune persone che usano il Sardex  e che gentilmente ci hanno spiegato come funziona. La società che coordina il Sardex (adesso è quotata in borsa) apre su richiesta conti correnti virtuali a cui assegna a ciascun aderente alla rete un determinato credito iniziale  – poniamo 5000 sardex – equivalenti a 5000 euro. Ciascun aderente alla rete compra (con fattura) e vende (sempre con fattura)  specificando che i pagamenti avvengono in sardex, pagamenti che risulteranno da movimenti numerici nei rispettivi conti correnti in sardex. La società Sardex lavora attivamente per far incontrare domanda e offerta. Dove sta il vantaggio? Semplice: se prima di aderire al sardex eri un negozio, un ristorante o qualsiasi altra attività produttiva o commerciale con “poco giro” il fatto di entrare nella rete sardex ti porta ad incrementare di molto i clienti. “Alcuni col Sardex hanno svoltato” ci dicevano i nostri amici.

    Ovviamente se  la tua attività fiorisce e incassi molti sardex ti devi dare subito da fare per spenderli acquistando materie prime o servizi, ovviamente da altri che accettano di essere pagati in sardex. Devi farlo perché il sardex non è convertibile in euro.

    Il sardex non è proprio il nostro caso, dato che è una moneta per scambi tra imprese, però rende l’idea:  una moneta locale, se funziona bene, incrementa in modo molto importante l’attività economica dei territori o dei circuiti in cui si diffonde.

    Allora noi, produttori di CampiAperti, abbiamo bisogno in questo periodo storico di incrementare le nostre vendite? Senza dubbio si!!!

    Se fino al 2008-2009 l’imperativo di CampiAperti era “produrre produttori” perché la domanda superava di gran lunga l’offerta adesso, per una serie di motivi che sappiamo, abbiamo un po’ di  bisogno di espandere la domanda.

    Dato che siamo completamente senza risorse economiche una moneta “nostra” potrebbe darci una mano in una operazione di promozione. O almeno sembra che valga la pena avviare una sperimentazione in questo senso, se non altro perché una moneta è un volantino permanente che passa di mano in mano senza nessuno sforzo.

    La nostra moneta. Ma “nostra” di chi?

    Bisognerà riflettere bene su questo: quando diciamo “noi” a Bologna probabilmente ci possiamo mettere – oltre ai produttori e ai coproduttori di campiaperti – tutti coloro che ci hanno sempre spalleggiato: i  Gas, gli Spazi sociali, Eat the Rich, Ex Aequo, i soci Mag di Bologna, la Rita e gli altri del Pratello, 20 Pietre, il circolo anarchico Berneri… e tante persone che ci hanno seguito e sostenuto nel nostro ormai lungo cammino.

    Possiamo fare un appello e vedere chi ci sta, coinvolgendo da subito in un percorso di riflessione collettiva e approfondimento che Mag6 si è impegnata a coordinare per noi.

    Diffondere una moneta alternativa non significa certo fare la rivoluzione, ma ci sembra abbastanza ragionevole pensare che la rivoluzione non possa proprio fare a meno di una moneta indipendente e autogestita a livello popolare.

  • Videointervista a Enric Duran in clandestinità

    Videointervista a Enric Duran in clandestinità

    Enric Duran, tra i fondatori della Coperativa Integral Catalana, intervistato un anno fa da Effimera / NomadeTV24  :: attivista catalano  tra il 2006 e il 2008 ha fatto 69 operazioni di prelievo di denaro da 39 diverse banche sottraendo alle stesse un totale di 492 mila euro. Ha utilizzato questi soldi per finanziare diversi progetti alternativi e anticapitalistici, tra i quali, appunto, la Coperativa Integral Catalana e Faircoop. In Spagna è stato condannato a otto anni di prigione, in contumacia. Attualmente è latitante.

    Puoi vedere l’intervista sottotitolata in italiano  cliccando qui

    Incontreremo alcuni membri della Coperativa Integral Catalana e del progetto Calafou giovedì 2 Giugno alle 20 e 30 a XM24, in via fioravanti 24 a Bologna

  • Lavorare poco – lavorare tutti

    Lavorare poco – lavorare tutti

    All’ultima assemblea generale si è parlato delle dimensioni che campiaperti sta assumendo e della difficoltà di gestire questa cosa in modo efficace con lo stile che abbiamo avuto fino a questo momento. Si è detto che coinvolgere nuovi produttori e coproduttori sarebbe auspicabile, aprire nuovi mercati sarebbe bello, fare della sovranità alimentare un progetto politico importante per la città una roba coerente con la natura stessa dell’associazione.
    Però ci siamo detti anche “avanti piano”, perchè non vogliamo creare un baraccone ingovernabile. O peggio governato da pochi secondo criteri che non ricercano il bene di una comunità vasta.
     Ma se decidiamo di andare avanti, seppur piano,  chi si occupa di aprire nuovi mercati? Chi si occupa dei contatti? chi segue decine di riunioni? Chi si occupa delle iniziative di autofinanziamento, di quello culturali o politiche?
    Sinora ci siamo appoggiati al lavoro partime di un dipendente,  a quello volontario di un gruppo di persone e al coinvolgimento occasionale di molti altri soci. Però, ragionevolmente, d’ora in avanti questo non può più bastare.
    L’ispirazione per una possibile soluzione potrebbe arrivarci dal modello di un certo movimento cooperativo statunitense di cui siamo venuti a conoscenza:
    in particolare una cooperativa di consumatori di brooklyn quartiere popolare di new york, che attualmente coinvolge qualcosa come quindicimila persone. Si tratta della Park Slope Food Coop http://www.foodcoop.com/
    Questa cooperativa ha come particolarità che  TUTTI I SOCI abili, senza esclusioni, lavorano circa 2,5 ore al mese presso lo cooperativa stessa.
    Dal punto di vista pratico i soci scelgono un lavoro tra quelli da fare,  si iscrivono a un turno quadrisettimanale e vengono assegnati a una squadra con la quale svolgeranno il lavoro. Ovviamente l’organizzazione di una cosa del genere è abbastanza complessa però la cooperativa riesce in questo modo a utilizzare il lavoro dei soci per il 75% del lavoro complessivo che gli è necessario. In questo modo i soci possono acquistare presso la coperativa cibi bio e locali con sconti che vanno dal 2O al 40 %. Chi non è socio non può entrare nel negozio della cooperativa.
    Io propongo di trarre ispirazione da questo modello e organizzare per tutti soci di campiaperti quello che non si può più chiamare lavoro volontario ma,  forse,  lavoro sociale.
    che ne dite?
    Carlo
    ps Susanna, eroicamente, ha tradotto il manuale per i soci.
  • Ristretta la libertà a Tommaso e altri di Labas

    Oggi anche Tommaso di Labas, dopo Gianmarco de Pieri e gli altri di TPO , dopo i militanti di Hobo, dopo Lavinia e compagni di Crash …è soggetto a misure restrittive della libertà: da oggi Tommaso è obbligato a vivere presso il proprio comune di residenza, e quindi viene allontanato per un tempo indefinito da Bologna.
    Questi provvedimenti sono la conseguenza della politica fascistoide della questura bolognese, che intende risolvere le questioni politiche poste dai movimenti radicali perseguitando sistematicamente i militanti/attivisti politici che ne fanno parte.
    La tecnica è sempre la stessa: si monta un caso, si infliggono misure restrittive, si procede con anni di processi in grado di sfiancare psicologicamente ed economicamente chiunque. I reati si trovano sempre: “occupazione abusiva”, “affissione abusiva”, “manifestazione non autorizzata” ma soprattutto “resistenza a pubblico ufficiale”, dato che si trova sempre un pubblico ufficiale che dichiara che non hai eseguito precisamente i suoi ordini.
    Poi, dopo anni di processi il tutto si sgonfia, tutti vengono assolti ma chi è stato infilato nel tritacarne non ne esce comunque intero.
    L’apparato poliziesco/giudiziario che sta opprimendo Bologna deve essere fermato.
    Sabato 26 settembre ci sarà una manifestazione. Questa volta campiaperti deve esserci: non solo i produttori e i coproduttori di Labas, non solo chi vende o fa la spesa nei centri sociali, ma proprio tutta campiaperti. Passiamo parola ai mercati, in modo che tutti lo sappiano.
    Per Tommaso e tutto il collettivo di Labas, per tutti coloro che hanno sostenuto campiaperti in questi anni e sono oggetto di persecuzione giudiziaria.
    Germana e Carlo
  • Come preparare i bambini ad Expo

    Racconto di persona informata dei fatti di un laboratorio rivolto a bambini delle classi elementari (ora scuola primaria), svolto presso una struttura pubblica, progettato far conoscere le tecniche tradizionali di preparazione degli alimenti tipiche della civiltà rurale.

    In particolare pane e formaggio.

    Breve descrizione del laboratorio sulla caseificazione.

    Materiale occorrente: una bottiglia di latte pastorizzato di una nota marca (un tempo) locale e cooperativa; caglio; sale; fornello elettrico; pentolino; ramina; ciotole; contagocce.

    Procedimento: i bambini divisi in gruppi di cinque; apertura della bottiglia di latte pastorizzato e versamento dello stesso in pentolino posto sul fornello elettrico; bollitura del latte (“per sterilizzarlo“, come da informazione dell’operatore); porzionamento del latte ancora bollente nelle ciotole (una per ognuno dei 5 gruppi). A questo punto ai bambini viene consegnato il contagocce con la richiesta di versare 5 gocce di caglio a testa nel latte della ciotola (più o meno 200 cc), cioè circa 25 gocce di caglio complessivamente, ed il sale, da mettere, in ragione di un pizzico a testa, sempre nella ciotola (sempre i 200 cc).

    Mentre il caglio compiva il miracolo di far cagliare il latte pastorizzato e, probabilmente, già privato di parte della panna (ma a quelle dosi, avrebbe cagliato anche una tazza di tè, credo), l’operatore spiegava che “il latte, una volta, i contadini lo mungevano mettendo il secchio sotto la pancia della mucca(…)”.

    Cagliato il latte, l’esperto ha scolato il siero, trattenendo la cagliata con la ramina in dotazione e ha mostrato il risultato ai bambini, guardandosi bene dal far toccare il composto a chicchessia.

    Laboratorio concluso.

    Ora, al di là delle palesi frescacce tecniche, che un operatore, pagato con soldi pubblici, racconti ai bambini cose come “il latte, una volta, i contadini lo mungevano mettendo il secchio sotto la pancia della mucca(…)”, che in quel contesto vengono prese come oro colato, facendo intendere che i contadini non esistono più e che la tecnica di mungitura manuale è roba del passato, un po’ dovrebbe far pensare. Se poi a questo aggiungiamo che le insegnanti presenti erano particolarmente soddisfatte della prestazione e non hanno trovato nulla da eccepire, mi pare chiaro come ad Expo ed alle sue narrazioni fuorvianti ci si sia arrivati dopo lunga preparazione.

  • Fare comunità è la chiave del cambiamento sociale – da zeroviolenza.it

    Cecilia Marocco,
    8 dicembre 2014

    La domanda è sempre la stessa, quasi ogni realtà sociale prima o poi si pone il problema di come dare prospettiva alle lotte, di come crearepartecipazione attiva tra chi idealmente sarebbe pure d’accordo ma guarda ai movimenti con malcelato pregiudizio dimostrando diffidenza e/o disillusione.

    La domanda se la fanno in molti dopo Genova, dopo il crollo di speranza che ha significato per tutt* il fallimento del Social Forum e, sebbene in misura minore, il movimento degli indignados del 2011 che in Italia ha avuto il suo apice nonché la sua fine nella mobilitazione del 15 Ottobre a Roma. Il fallimento più grande sta nella delusione di un mancato “altro mondo possibile”, da lì l’incapacità dei movimenti di ricreare intorno a se consenso e interazione. Da qui la necessità di ripartire da zero, dal basso, attraverso le pratiche e la costruzione di nuovi percorsi.

    Dunque le risposte… ognuno prova a darne una, ma c’è anche chi non crede possano esistere, e forse hanno pure ragione; ma dato che pessimismo e realismo è meglio lasciarli a chi pensa che le cose non si possano cambiare, si vuole provare a seguire quel filo che, dall’interesse, porta al consenso poi partecipazione ed infine “comunità”. Pensando che quest’ultima possa essere una delle chiavi di un sempre più necessario cambiamento radicale.
    E’ doveroso mettere “comunità” tra le virgolette perché dalla sua definizione dipende come la si costruisce.

    Secondo il vocabolario è “l’insieme di persone unite tra di loro da rapporti sociali, linguistici e morali, vincoli organizzativi, interessi e consuetudini comuni”. Questa definizione è pericolosa e fuorviante perché potrebbe implicare una chiusura e ristrettezza che necessariamente bisogna superare, o peggio l’unione forzata di individui sotto l’arbitrio di leggi e frontiere. Andrebbe specificata invece, in senso più Proudoniano, come l’insieme di persone che si sentono affini e per questo si riuniscono in comunità economicamente vitali con obiettivi condivisi, non isolate e quindi anti-identitarie, permeabili a chiunque voglia farne parte (fermo restando la condivisione degli obiettivi e ideali).

    Una comunità implica anche la ridefinizione di un sistema sociale, ovvero un cambiamento radicale nei meccanismi dello stare insieme ad altre persone, eliminandone gerarchie e verticismi di cui sono spesso impregnati anche i movimenti.

    L’esperienza collettiva come strumento per trasformare il quotidiano; quei pochi GAS (Gruppi d’Acquisto Solidale) che funzionano veramente ne sono un esempio felice quando non si limitano a cambiare gli usi negli acquisti, ma mettono in discussione le regole del sistema a 360°, la messa in condivisione di criteri comuni diventa impulso per un cambiamento che non si attua più a livello individuale, ma diventa collettivo.

    Costruire comunità è uno dei capisaldi della campagna Terra Bene Comune che, come è già stato scritto altrove, passa attraverso l’autorganizzazione; ma deve avere una base solida per procedere e superare i limiti di un territorio, di un gruppo ristretto, di una cerchia che necessariamente deve allargarsi se a cambiamenti radicali si anela.

    Tornando all’esempio dei GAS, la stragrande maggioranza è ormai diventata una individualizzazione dell’idea originale, urge un salto di qualità, l’ampliamento del ragionamento che a partire da una questione materiale e pratica (il cibo) sia in grado di criticare un intero sistema (il problema della grande distribuzione, dello sfruttamento del lavoro, della precarizzazione delle vite), arrivando a risposte concrete che possano spaziare dalle valutazioni sul giusto prezzo o l’importanza di sostenere una filiera corta, alla creazione di reti sui territori che scambino merci non in quanto tali ma in quanto veicoli di ideali e proposizioni concrete.

    La costruzione di una comunità può nascere da una occasione ma non deve esaurirsi in essa, spesso ha origine da esigenze materiali e funziona se diventa fucina di idee, arricchimento culturale attraverso condivisione di pensieri, così come la sua contiguità non risiede in termini solo spaziali ma innanzitutto ideali; lo spazio può aiutare a creare un senso di comunità grazie alla facilità delle relazioni, ma è la condivisione profonda di idee che mantiene saldo il senso di appartenenza ad essa e proprio nella estensione sui territori può trovare linfa vitale affinché un gruppo che lentamente si accresce possa continuamente confrontarsi e scambiare esperienze.

    Tante sono le possibili strade da percorrere per creare comunità, la creazione di un orto in un centro sociale ha incuriosito e dunque permesso di abbattere quel muro di diffidenza che regnava tra i cittadini del quartiere, ora quei cittadini partecipano ben oltre la gestione di un piccolo orto in città arrivando ad immaginare la gestione collettiva di terre per una autoproduzione che ha il sapore di reale alternativa al modello economico, crea reddito (diretto o indiretto) ma soprattutto unisce.

    Quanto la comunità riesce a soddisfare i bisogni partendo da se stessa e senza delegare realizza un’altissima forma di autogestione, la diffusione sui territori è il volano per il moltiplicare le pratiche.

  • Non sono belle sorprese?!

    Non sono belle sorprese?!

    l'imu in..dietro??

     

    Le sorprese del governo Renzi sembrano non finire mai. Purtroppo, non sono belle sorprese. Secondo la volontà del governo Renzi,  la recente decurtazione di 350 milioni del fondo di solidarietà ai comuni verrà compensata da agricoltori, contadini e proprietari di terreni,

    L’esenzione IMU per i terreni agricoli, in Italia,  viene rimodulata e dipenderà dall’altitudine dei Comuni ( inteso come casa comunale) in cui sono presenti, con tariffazioni diverse già a partire dal saldo  con scadenza 16  dicembre 2014.

    E pensare che questo governo, pubblicamente ha sempre detto, che non avrebbe nel modo più assoluto tolto un centesimo dalle tasche degli italiani. Con il decreto del Ministero delle Finanze di imminente emanazione, in attuazione dell’articolo 22, comma 2 del dl 66/2014 il prode Matteo limiterà l’esenzione IMU per i terreni agricoli, diversificando tra quelli posseduti da
    coltivatori diretti e imprenditori agricoli professionali. Nel dettaglio: nei Comuni sopra i 600 metri i terreni continueranno a non pagare l’IMU, al di sotto di questa altitudine sui terreni non posseduti da agricoltori professionali e coltivatori diretti bisognerà pagare l’imposta comunale, mentre sotto i 281 metri pagheranno tutti, pur con tariffazioni diverse. L’esenzione Imu per i terreni agricoli, che
    fino a oggi copriva 3.524 comuni italiani – quasi la metà del totale – verrà cancellata con un colpo di spugna. Unico criterio di delimitazione è l’altitudine del centro comunale, non quella dei terreni e non vengono piu considerate  esenti  le zone svantaggiate con terreni impervi a altitudine inferiore.

     

    ufficio stampa campagna contadina

  • CampiAperti vista da Alessia Melchiorre

    CampiAperti vista da Alessia Melchiorre

    2014-10-08-17Virgilio, padre delle Georgiche, sarebbe stato certamente fiero di loro: un gruppo di contadini a cui piace
    coltivare senza avvelenare il terreno e vivere del prodotto del proprio lavoro.
    Campi Aperti è un’associazione per la sovranità alimentare come recita la Carta dei Principi . Si tratta, cioè, di un incontro tra produttori e consumatori che rigettano la capitalizzazione dell’attività agricola e promuovono la coltivazione biologica e il commercio a filiera corta favorendo non solo il rispetto della terra, grazie alla preservazione della territorialità e stagionalità dei prodotti, ma anche le relazioni tra chi produce cibo e chi lo consuma, senza intermediazioni di alcun tipo. I mercati si tengono dal martedì al venerdì in quattro centri sociali di Bologna: il VAG61, il LÀBAS, l’XM24 e presso la Scuola di Pace (inoltre, con l’assessore all’Economia e promozione della città Matteo Lepore, si sta cercando di aprirne un altro in Piazza Puntoni).
    L’associazione, nata ufficialmente nel 2002 a Bologna, ha un Regolamento relativo ai modi di produzione, reperimento delle materie prime, autocertificazione dei prodotti ed etica del lavoro.
    Ma ciò che la rende un’organizzazione democratica è l’assemblea di gestione del mercato che si tiene con cadenza bimestrale per autoconvocazione: oltre ad avere funzione di vigilanza delle aziende agricole aderenti, riunisce i contadini e i consumatori interessati in un confronto su questioni logistiche, sulle regole di gestione, sull’ammissione di nuovi prodotti e/o produttori e altre necessità. Quando ci sono decisioni da prendere, dopo innumerevoli discussioni (che si sviluppano attorno ad un tema su cui ognuno può intervenire per alzata di mano durante le riunioni o nelle mailing list), si utilizza il metodo del consenso e, se non si trova l’accordo, si procede alla votazione per maggioranza dei presenti (in 12 anni solo 3-4 volte). “Il voto per maggioranza è una sconfitta perché crea una minoranza;” ammette Domenico Fantini, che si occupa di amministrazione per Campi Aperti, “perché significa che non siamo riusciti ad arrivare ad una conclusione comune”. Ogni assemblea viene, inoltre, puntualmente verbalizzata e pubblicata sul sito.
    L’esperimento ormai consolidato di garanzia partecipata permette a tutti i soggetti coinvolti, dai produttori ai consumatori, di controllare la qualità e la provenienza dei prodotti sul banco. È uno strumento utilissimo per individuare i furbi che lucrano su merci che non sono di produzione propria ma di chissà quale origine; ognuno è responsabile dell’affidabilità di ciascuno.
    Moltissime sono le iniziative che spesso si affiancano e collaborano in un tale ambiente di reciproco scambio: laboratori di teatro e musica per bambini, conferenze, spettacoli, libri e anche un giornale dell’associazione.
    Infine c’è Genuino Clandestino, campagna avviata subito dopo la regolarizzazione dei mercati avvenuta attraverso dei bandi comunali nel 2010, che ha l’obbiettivo di denunciare le norme che rendono equiparabili i prodotti trasformati dai contadini a quelli realizzati in grandi industrie alimentari e che dichiarano i primi fuorilegge poiché non rispettosi dei vincoli igienico-sanitari validi per qualsiasi attività di produzione a prescindere dall’entità della produzione e dalle modalità di lavorazione (per intenderci: il pane o le marmellate fatte in casa non potrebbero essere vendute ai mercati). Non avendo i mezzi necessari a dotarsi di un laboratorio convenzionato, i clandestini (aggettivo non casuale) hanno dunque deciso di indicare nei loro mercati quali sono i prodotti a norma della legge italiana e quali no, ma comunque genuini e affidabili (circa un 20% sono banditi). L’iniziativa ha riscosso numerose adesioni da parte di altre realtà agricole, in tutta Italia, aventi gli stessi problemi tanto da farne un movimento nazionale per l’agricoltura biologica e contadina che annualmente si riunisce per aggiornarsi, crescere e creare nuovi progetti comuni.
    Oggi si fa un gran parlare del biologico tanto che anche grosse multinazionali del cibo si avvalgono di questa parola (vedasi il colossale progetto F.I.CO, con l’obbiettivo di relegare la dimensione contadina in uno spazio ristretto e cementificato ); <> dichiara Michele Caravita, uno dei fondatori di Campi Aperti, in occasione dell’ultima riunione Genuino Clandestino tenutasi a Pesaro.
    Il punto cruciale sul quale si va sempre a cadere è la questione prezzi; sono alti e non proprio accessibili a tutti (specialmente agli studenti fuori-sede, tipico esempio di consumatore squattrinato) e sembra che ci si debba sempre dividere tra chi può permettersi un certo stile di vita e chi no. Filippo, produttore, risponde: << la domanda è come mai i prodotti Coop costino così poco; noi ci riuniamo periodicamente per stabilire dei prezzi che possano consentire il sostentamento del contadino e contemporaneamente soddisfare le esigenze “economiche” del maggior numero di persone possibile>>. Si tratta inoltre di invitare il consumatore a ragionare su quello che mangia:<< Dietro i nostri prodotti non c’è sfruttamento del lavoro e della terra>>. E La risposta di Domenico chiarisce: <<È il governo che deve favorire le condizioni per permettere allo studente di poter acquistare biologico. Campi Aperti parte dalla macro-area dell’alimentare ma va a toccare inevitabilmente tutti gli aspetti sociali della vita delle persone>>.
    Quali sono i numeri di Campi Aperti? Si parla di un centinaio di aziende agricole tra i produttori; 200-500 persone per mercato tra coproduttori e clienti; altre 200 coi GAS (Gruppi Acquisto Solidale) di Marzabotto.
    La crescita del fatturato totale dei mercati è stata imponente: dai 200mila euro di due anni fa agli 800mila di quest’anno. Cifre che attestano che un altro modello di economia è possibile, funziona perché basato sulla fiducia tra le persone. La domanda aperta che resta è: come cambierà Campi Aperti se dovesse ingrandirsi ancora? Di certo non si può che vedere come qui si vada ben oltre gli ideali georgici di vita: Carlo, Germana e Michele, i fondatori, hanno creato un modello di organizzazione politica, economica, sociale e culturale “fuori dal comune”, cioè fuori dalle ordinarie strutture istituzionali di ciascun ambito, ma sempre all’interno di regole ben precise e condivise. E in un Paese con un governo non democraticamente eletto come il nostro, Campi Aperti si presenta come una realtà nella quale l’esercizio della democrazia, intesa come regime fondata sull’opinione, sul confronto tra le opinioni, sulla formazione di un’opinione comune (come vorrebbe il buon Tucidide), è tale da essere paragonabile a quello delle poleis greche.
    Alessia Melchiorre

  • Il Ministro dell’agricoltura e la carne agli ormoni

    Il Ministro dell’agricoltura e la carne agli ormoni

    1394191_549959735078877_327214075_nNell’audizione sul TTIP il ministro Martina ha affermato che per quanto riguarda gli effetti del Trattato sul comparto agroalimentare questo non comporterà modificazioni sul livello di tutela in materia sanitaria e fitosanitaria e “chiarisce” che

    “il mandato prevede espressamente “il diritto delle parti di valutare e gestire il rischio conformemente al livello di tutela che considera appropriato, in particolare quando le pertinenti prove scientifiche sono insufficienti”.

    In sostanza – continua il ministro Martina – è sancito il diritto di precauzione affinché nel mercato europeo non entrino prodotti “a rischio” come per esempio la carne con gli ormoni o il pollo trattato con la clorina. Su questo punto il mandato è tassativo e così la posizione presa dalla Commissione negli incontri con i negoziatori statunitensi. L’accordo non comporterà quindi alcuna riduzione della sicurezza alimentare di cui godono oggi i cittadini europei per facilitare le imprese o favorire l’arricchimento delle multinazionali, in quanto tutte le garanzie verranno mantenute e, semmai, migliorate.

    In realtà la frase riportata dal ministro è stata decontestualizzata: la frase originale era un’altra.

    “Provisions of the SPS chapter will build upon the key principle of the WTO SPS Agreement, including the requirement that each side’s SPS measure be based on science and on international standards or scientific risk assesment, while recognising the right for the Parties to appraise and manage risk in accordance with the level of protection that each side deems appropriate, in particular when relevant scientific evidence is insufficient, but applied only to the extent necessary to protect human, animal or plant life or health and developed in a transparent manner without undue delay” (http://eu-secretdeals.info/upload/TTIP-mandate_M-Schaake_website.pdf)

    L’Europa è stata già sanzionata nel 1998 dal WTO per il bando della carne agli ormoni in quanto le “prove scientifiche” fornite erano a giudizio della commissione insufficienti. Nel 2005, poi, l’accordo SPS  (Sanitary and Phitosanitary Agreement) ha stabilito che la restrizione al libero commercio per motivi di tutela della salute “deve dimostrare una connessione diretta tra la sostanza bandita e il rischio paventato” (http://www.issm.cnr.it/demetrapdf/boll_7_2005/Pagine%20da%20demetra_imp%207_bevilacqua.pdf), deve cioè dimostrare una connessione diretta tra la presenza di ormoni e la contrazione di malattie. Non è possibile, in altre parole, secondo il trattato applicare il principio di precauzione quando non ci sono prove evidenti, ma solo quando ci sono degli indizi che non costituiscono una prova evidente e solo limitatamente a proteggere la vita e la salute di uomini, animali e piante   Questo tipo di situazione è proprio ciò che viene definito nel trattato una “barriera non tariffaria” al libero scambio dei prodotti.

    Detto in parole povere prima vi mangiate la carne agli ormoni, se poi ci sono delle rilevanti evidenze scientifiche (ancorché insufficienti) potrete applicare il principio di  precauzione, ma solo per un certo periodo di tempo.

    Più avanti nel corso dell’audizione il ministro Martina, infatti, contraddicendo ciò che ha appena affermato e parlando solo dei vantaggi che potrebbe avere l’agricoltura italiana, dice che “Nel negoziato, infatti, si tende a superare le barriere non tariffarie che impediscono l’accesso al mercato USA dei prodotti per motivazioni sanitarie (come avviene ad esempio nei casi della Bresaola, la cui esportazione dall’Italia è vietata dal 2001 a causa dei provvedimenti statunitensi vigenti nei confronti della BSE, o dei prodotti ortofrutticoli, per cui risulta necessaria un’armonizzazione delle norme fitosanitarie).” 

    In sostanza il ministro ci vorrebbe far credere che il superamento delle barriere non tariffarie avverrebbe a senso unico e a solo vantaggio delle merci italiane, ma non viceversa!!

     

     

  • Il km0 o l’impatto ambientale? Sulla distanza delle aziende dai mercati.

    Il km0 o l’impatto ambientale? Sulla distanza delle aziende dai mercati.

    KmZero

    Hoverfly_May_2008-8La locuzione “Km0” è la traduzione italiana di “food miles”. Questo termine, nella traduzione italiana non è privo di conseguenze. Il concetto di “Km0”, rispetto alla sua versione inglese, mette l’accento sui luoghi d’origine dei cibi, legandosi ad un movimento di rivalutazione delle tradizioni popolari e della storia patria che, nella sua versione più etnocentrica, è alla radice anche di un fenomeno come quello leghista. Il concetto ha avuto successo in ambienti e indirizzi politici piuttosto eterogenei. La crescita di sensibilità nei confronti dei problemi di natura ecologica, associata al richiamo alle tradizioni locali, ai prodotti tipici, ha reso molto popolare il “km0”, al punto che anche organizzazioni nazionali (vedi ad es. la coldiretti) lo hanno sposato. Questo movimento di opinione ha portato alla nascita di innumerevoli “farmer’s markets” con caratteristiche alquanto eterogenee (biologico/convenzionale, territoriali/inter-territoriali, ecc.).
    Nella pratica, l’idea di km0 ha prodotto delle pratiche che hanno messo al centro i “prodotti tipici”, non tanto perché in essi la quota di km percorsi dal cibo è inferiore rispetto a degli equivalente provenienti da zone più distanti, quanto perché essi esprimono il legame territoriale del produttore e del co-produttore con il suo territorio. Si tratta di un territorio vicino, della tradizione locale, dove la vicinanza è sinonimo di fiducia (mentre la distanza, l’impersonalità comunicano soprattutto sfiducia), questo ha veicolato l’idea che mangiare i prodotti del territorio è anche un comportamento in qualche modo più salutare.

    In effetti, in linea generale questo è maggiormente probabile, soprattutto quando il termine di paragone sono i “cibi industriali” con i suoi portati chimici di grassi animali e idrogenati, conservanti, coloranti e addittivi alimentari in genere, ma non è sempre così. Nelle singolarità degli scambi economici, questo si traduce come rapporto tra produttore e co-produttore/consumatore; rapporto che non necessariamente veicola prodotti più sani, meno inquinati (ad esempio, è noto che la pianura padana non sia tra i luoghi meno inquinati d’europa) o meno carichi di pesticidi (soprattutto se si tratta di piccole aziende in regime di agricoltura convenzionale), e non necessariamente meno inquinanti.

    Assumere l’aspetto territoriale come “differenza che fa la differenza” nella partecipazione delle aziende ad un mercato contadino (“mercati a km0”) ha degli indubbi vantaggi da un punto di vista sociale ed ambientale. Promette e in parte riesce, ad esempio, a supplire alla mancanza di redditività dell’agricoltura per l’industria, cosa che ha permesso una rinascita, seppur ancora molto limitata, di una agricoltura che produce anche o solo per la vendita diretta del proprio prodotto (preferibilmente nel proprio territorio di appartenenza). Questo, secondariamente, permette a molti agricoltori di continuare anche a produrre per l’industria a prezzi inferiori ai costi di produzione. Diversi contadini, infatti, si trovano nella situazione di coprire le perdite derivanti da produzione specializzate per l’industria, con i redditi derivanti dalla vendita diretta (rendendo, si potrebbe dire, la vendita diretta una stampella dell’autosfruttamento per la produzione agricola industriale).

    L’agricoltura per la vendita diretta è una soluzione economicamente più redditizia per l’agricoltura, ma da questo punto di vista non tutti i territori godono delle stesse possibilità di “co-produzione”. E’ evidente, ad esempio, che essere un agricoltore che si orienta alla vendita diretta ed avere i campi nei pressi di una città, vuol dire avere la possibilità di incontrare un maggior numero di co-produttori presso “mercati contadini” cittadini, e cioè avere una base di co-produttori in grado di dare redditività all’agricoltore che vi partecipa.
    Vendere un prodotto di cui c’è molta abbondanza nel territorio (perché vocato o perché storicamente l’agricoltura di quel territorio si è orientata verso un certo tipo di monocolture), al contrario, può essere difficile proprio per la mancanza di co-produttori interessati. Produrre ortaggi in montagna è generalmente meno conveniente che in zone pedoclimatiche più calde (quando gli ortaggi sono pronti per essere venduti il mercato è spesso già saturo e deprezzato) se poi la probabilità di incontrare co-produttori interessati (data la scarsa densità abitativa delle montagne) è piuttosto bassa, allora diventa evidente che le condizioni di partenza creano delle differenze sostanziali.

    In questo senso, se ne potrebbe osservare, che la posizione geografica è fonte di una disuguaglianza sociale stabilita, diciamo così, “per nascita”, piuttosto che sulla base del proprio agire ecologico. I campi non si spostano, alcuni km o differenze di decine di metri possono generare condizioni molto diverse per il singolo agricoltore. E’ questo il caso dei mercati che stabiliscono un limite chilometrico o socio-territoriale (solo gli agricoltori che sono a meno di 30 km o solo quelli della provincia di Bologna), è il caso del regolamento del comune di bologna sui mercati a km0, ma anche quello dei regolamenti dei “mercati della terra” targati Slow Food.

    La scelta di restringere la partecipazione ai mercati cittadini solo alle aziende di un certo territorio (scelta sicuramente motivata sulla base di criteri del minor impatto ambientale) può, in altre parole, produrre effetti non voluti perché non tiene conto delle singole specificità aziendali. Si tendono a trascurare aspetti relativi alle modalità “contestuali” della produzione e della vendita (ad esempio: quanto prodotto si vende per km percorso? Quanta energia non rinnovabile si è utilizzata per produrre quel cibo? Che tipo di rifiuti sono stati prodotti o verranno prodotti durante il ciclo di vita di quel cibo?).

    I regolamenti dei mercati a km0 escludono dalla partecipazione ai mercati le aziende agricole al di fuori di un certo range chilometrico, ma poiché la legge di regolamentazione della vendita diretta consente agli stessi agricoltori di vendere fino al 49% di prodotto non proprio, le conseguenze di questo principio diventano di fatto un privilegio per le aziende del territorio che acquisiscono quote di mercato cittadino solo per il fatto di appartenere al territorio. Diventa evidente che la sola distanza territoriale tra luogo di produzione e luogo di vendita è una discriminante che da sola è inadeguata e che può diventare semplicemente discriminatoria!

    L’impatto ambientale

    L’idea di “carbon footprint” lega la vita di un prodotto (dalla produzione al consumo) all’impatto che quel prodotto ha sull’ambiente, valutato come quantità di CO2 immessa nell’aria (e cioè come “impronta carbonica”), ed è una misura più raffinata perchè tiene conto di un numero di fattori maggiori rispetto alla più semplice idea di km0. Prendiamo, ad esempio, due aziende ad alcune decine di kilometri l’una dall’altra che praticano l’agricoltura in serra. Nella prima il riscaldamento della serra avviene attraverso l’uso di combustibili fossili, nella seconda (quella più lontana) le serre sono riscaldate attraverso la fermentazione del compost. A parità di condizioni l’azienda che usa il compost pur essendo più lontana avrebbe un’impronta ecologica più bassa.

    Sarebbe, quindi, più giusto calcolare l’impronta ecologica dei singoli prodotti per discriminare le aziende, ma anche questa misura non è sufficiente perché trascura una moltitudine di altri fattori.

    Bisognerebbe mettere a punto degli indicatori più complessi che siano in grado di considerare una pluralità di parametri: non solo il luogo di produzione, ma anche le condizioni di produzione (con quali mezzi è stato ottenuto, quali concimi, quali antiparassitari, erbicidi, sementi), le condizioni di magazzinaggio (trasporti, refrigerazione, trattamenti, ecc.), le modalità di confezionamento (conservanzione, packaging, trasformazione, ecc.) il trasporto (tipologia dei mezzi di trasporto impiegati, capacità di carico per grammi di CO2 emessa) e, infine, le stesse modalità di vendita (unità di prodotto venduto per chilometri percorsi).

    Bisognerebbe procedere ad analisi più complesse e prendere in considerazione i molteplici fattori che concorrono a generare l’impatto ambientale negativo o positivo di un prodotto. I risultati di queste analisi discriminerebbero con più precisione della semplice lontananza territoriale della produzione dal luogo di vendita, indicando comportamenti ed aziende agricole virtuose (tali da avere un impatto ambientale positivo) e stimolando al contempo gli agricoltori a fare di più e meglio.

  • dibattito sul commercio equo – la risposta di Wlado

    Onestamente non ho contatti con Libero Mondo. Credo che la bottega di via Guerrazzi venda anche i loro ( o solo i loro ) prodotti, non saprei. Posso anche provare a passarci…

    A Roberta dico che non so se la mia visione sia euro centrica. Sicuramente è partigiana e faziosa, nel senso che influenzata dalle notti passate nei magazzini della gdo.
    Facendo il facchino, in effetti, non ho conosciuto i contadini del sud del mondo, ma i facchini del sud del mondo che lavorano nelle piattaforme logistiche della periferia bolognese.
    E ho condiviso con loro sfruttamento, umiliazioni, rabbia, lotte e… poche gioie.
    Si, insomma, vorrei dire che anche le mie posizioni, da anni critiche nei confronti dell’equo solidale distribuito negli iper e super mercati…anche loro forse hanno la dignità e il diritto di essere considerate frutto di “ecomomia di relazione”, così come le vostre. Solo che avvengono fra un muletto e una pila di bancali; sotto al freddo di luci al neon e urla dei caporali.
    Forse ragionamenti simili ai miei li fanno compagn* del crash! influenzati dalle notti passate ai presidi fuori dai cancelli e le manganellate prese dai birri.

    Insomma son convinto che i prodotti equo e solidali, transitando in quei luoghi di sfruttamento urbano che sono i capannoni della gdo, assorbono la negatività di quei luoghi, come un aurea negativa…un’aura politicamente negativa!
    Comunismo mistico? 😉

    Può essere che ci siano anche altri co produttori che la pensano come me (ma magari siam quattro gatti o son solo io) e che allora i mercati di campi aperti potrebbero offrire entrambe le possibilità: equo che si compra anche in gdo e equo che in gdo non si compra, lasciando la scelta consapevole ai singoli coproduttor*. Così come per ctm è stata libera la scelta di approdare alla GdO.

    Infine credo sia interessante capire come il meccanismo ricattatorio della gdo, che conoscono bene i contadini tutti, non valga per l’equo solidale. Potrebbe essere utile per capire come contrastarlo anche per i contadini? Per capire come uscirne?

    Ps
    questo il link del caffè Malatesta che non avevo messo nella mail precedente.

    http://www.caffemalatesta.org/caffe-malatesta-perche-non-siamo-certificati-fair-trade/

    Wlado