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Categoria: Opinioni
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dibattito sul commercio equo
Sono incuriosita da come anche nel micro cosmo di chi è attento ad una dimensione del sociale e del solidale si possano dare delle connotazioni così europa-centriche sul commercio equo.
Mi spiego meglio: la centralità del commercio equo è in primo luogo la conoscenza di realtà in molti casi minimali e marginali delle grandi produzioni asservite all’agroalimentare ed al business del cibo. Queste realtà vengono conosciute , con un profonda relazione anche in termini umani, e questo lo posso testimoniare personalmente per una esperienza presso i produttori del caffè UCIRI, e da questa conoscenza , che è quella che noi col nostro bel linguaggio chiamiamo “economia di relazione”, nasce un rapporto che consente di dare dignità a quelle persone ancor prima che lavoratori.Secondo me solo se abbiamo l’occhio concentrato su noi stessi, sulla centralità nel nostro sistema o sulla necessità di essere intonsi rispetto alle brutture del mondo, salvo poi viverci con i distinguo tutti, possiamo sostenere che tra il caffè venduto tramite una centrale di importazione come il CTM invece che libero mondo c’è differenza.Se il primo valore è la dignità, il rispetto della storia, il diritto alla sovranità alimentare, il rispetto alla terra, per quei piccoli lembi che siano, ma anche il diritto al reddito quando spesso è quello che garantisce la soglia di sopravvivenza, non certo la nostra “qualità” della vita, allora penso che chiunque abbia a cuore questo universo di donne e uomini che vivono, o cercano di sopravvivere, lottano anche a costo della vita e delle multinazionali, cercano dignità nel lavoro, non possiamo lasciarle perdere perchè il ctm/altromercato ha scelto anche il canale della grande distribuzione. Lascio da parte il citare a spot di Zanotelli, perchè dice molto altro e di più, ma sono convinta che il primo valore sia la persona, la terra e la dignità.Ognuno può pensarla secondo il suo schema di valori ma non vorrei giudizi sommari a quello che è un percorso lungo, anche difficile e sempre in essere, per cui ben venga una discussione che parli di temi e di esperienze, non sanzioni, al di là che ovviamente ben vengano le esperienze di libero mondo e dei tanti altri che fortunatamente hanno ancora voglia e speranza di pensare che il lontano geografico ci è molto più vicino di quanto non crediamo e quindi dobbiamo accorciare le distanze.Alla prossima assemblea, ciaoRoberta -
Unire le forze contro il nemico comune. Intervista a João Pedro Stédile
Sarà più difficile per un governo trattare come terrorista un dirigente sociale che ha incontrato il papa, ha potuto parlargli della propria lotta e gli ha sentito dire che questa lotta è una benedizione per l’umanità. E sarà più difficile anche per un vescovo negare il suo sostegno alle rivendicazioni popolari sui temi della terra, del lavoro e della casa (ma anche della pace e dell’ambiente), dopo che il papa ha voluto personalmente incontrare i dirigenti dei movimenti di tutto il mondo per discutere di tali problemi. È per questo, e per molto altro, che l’incontro mondiale dei movimenti popolari che si è svolto in Vaticano dal 27 al 29 ottobre (di cui Adista, che ha avuto l’opportunità di seguirlo, ha parlato estesamente sul n. 39/14) è stato indubbiamente un successo. Un successo che avrà frutti duraturi, perché la collaborazione con il Vaticano continuerà, sotto forma di una sorta di “tavolo di dialogo” tra i movimenti e il papa. E un successo, soprattutto, perché, per molti rappresentanti dei movimenti popolari, l’incontro è apparso – come ci ha spiegato João Pedro Stédile del Movimento dei Senza terra del Brasile e di Via Campesina – «una legittimazione dei nostri diritti contro gli interessi delle borghesie locali». E ha offerto un’ulteriore spinta per la costruzione di una grande articolazione internazionale di tutti i movimenti popolari del mondo, in grado di fronteggiare quella che è realmente una crisi globale: economica, sociale, ambientale, politica. «La profezia di Marx – ha evidenziato Stédile nell’intervista concessa ad Adista che qui di seguito riportiamo – non è mai stata così attuale: lavoratori di tutto il mondo uniamoci!».
Che bilancio è possibile tracciare dell’incontro dei movimenti popolari in Vaticano?
Con il papa si è stabilito subito un clima di fiducia. Quando è venuto in visita in Brasile, per esempio, ha compiuto una serie di gesti che valgono più di molte parole, a cominciare dal fatto che, diversamente da quanto previsto nel programma originario, ha voluto recarsi in una favela. Ed è stato molto bello anche il fatto che abbia espresso il desiderio di andare a trovare dom Pedro Casaldáliga: si è persino informato su quante ore di volo ci volessero per raggiungere la sua diocesi. Poi, quando si è reso conto che era troppo distante, gli ha almeno voluto scrivere una lettera molto affettuosa.
Già lo scorso anno eravamo stati convocati in Vaticano per un primo incontro (il workshop “Emergenza Esclusi”, svoltosi in Vaticano il 5 dicembre 2013, ndr), allo scopo di offrire la visione dei movimenti sui modi in cui il capitale accresce la disuguaglianza sociale. Il dialogo era poi proseguito specificamente sui semi transgenici, anche in considerazione del fatto che in Vaticano esistono posizioni differenti al riguardo. Così abbiamo coinvolto un gruppo di scienziati per far giungere al papa dei sussidi che spero possano aiutarlo nella stesura della sua prossima enciclica sull’ambiente. È sorta quindi l’idea di organizzare un grande incontro dei movimenti popolari in Vaticano, un incontro tra il papa e un centinaio di dirigenti sociali legati a tre ambiti diversi (terra, lavoro e casa) indipendentemente dalle loro convinzioni religiose – non a caso i cattolici non erano la maggioranza -, con l’unica condizione che fossero veri dirigenti e che rappresentassero migliaia di lavoratori. Sono stati inoltre invitati 20 vescovi (ne sono venuti 17) che si sono particolarmente distinti nel loro appoggio alla lotta dei movimenti popolari.
L’incontro con il papa è stato importante in primo luogo rispetto a una simbologia di classe, perché per molti di noi dei movimenti popolari è apparso come una legittimazione dei nostri diritti contro gli interessi delle borghesie locali. È stato molto significativo sentirgli dire: quando parlo di terra, lavoro e casa, dicono che sono comunista. Il riferimento a Hélder Câmara è d’obbligo. E anche l’invito a Evo Morales nella sua veste di presidente della Conferenza mondiale dei popoli indigeni ci è sembrato un gesto politico importante, considerando che il presidente boliviano non gode della simpatia di vari vescovi boliviani. Tra noi, poi, vi era almeno una decina di dirigenti minacciati di morte: per loro la foto in cui stringono la mano al papa è una sorta di salvacondotto a protezione della loro vita. Abbiamo anche potuto condividere con il papa le nostre preoccupazioni riguardo alla presenza di gravissimi conflitti nel mondo, come è il caso di Kobane, perché ne parli durante la visita in Turchia, o a situazioni drammatiche come il caso degli studenti scomparsi ad Iguala, in Messico, durante un’operazione della polizia municipale e di bande di narcotrafficanti. Ed è con gioia che abbiamo poi ascoltato le parole da lui pronunciate, durante l’udienza generale del 29 ottobre, sulla scomparsa dei 43 giovani messicani.
Credo, infine, che sia stato un incontro positivo anche per il papa. Papa Francesco sa che deve operare cambiamenti all’interno della Chiesa e che troverà grandi ostacoli da parte dei settori conservatori. Ma sa che può contare su un importante alleato: i lavoratori organizzati. Sa che la Chiesa esercita un ruolo politico nella lotta di classe a livello mondiale e io sono pronto a sottoscrivere che il papa è dalla nostra parte.
Privilegiando il dialogo con il Vaticano, non si rischia di restare troppo ancorati alla Chiesa cattolica? Dopotutto i cattolici sono meno di un miliardo e mezzo nel mondo. Pensate di ampliare il dialogo anche alle altre tradizioni religiose?
Durante l’incontro è emersa chiaramente la necessità di investire le nostre energie nello sforzo di costruire da qui in avanti una grande articolazione internazione di tutti i movimenti popolari del mondo. Si era tentato di farlo con il Forum Sociale Mondiale, attraverso la sua Assemblea dei movimenti sociali, ma non ha funzionato: si tratta di un formato che ha svolto un ruolo importante nella lotta ideologica contro il capitalismo, ma che con il tempo è andato esaurendo le proprie potenzialità. I movimenti popolari presenti all’incontro erano molto concentrati sul tema della terra, della casa e dell’economia informale, ma ci sono molte altre forme di organizzazione che dobbiamo coinvolgere. Noi di Via Campesina impiegheremo le nostre energie per costruire tale articolazione. E questo indipendentemente dalla Chiesa e dal Vaticano. Perché abbiamo la necessità di discutere i nostri problemi e di trovare soluzioni comuni per affrontare un nemico che è comune: il capitale finanziario e le transnazionali, le quali utilizzano gli organismi internazionali per legittimare i propri interessi.
In relazione al Vaticano, l’idea è quella di mantenere un “tavolo di dialogo”, anche se il concetto non è stato ancora ben definito. Il card. Peter Turkson, nel suo discorso finale, ha parlato di una “piattaforma”. È un bene che non abbia parlato di “consiglio”, perché la parola “consiglio” è ormai superata. Dunque, daremo continuità a questo incontro attraverso una specie di tavolo di dialogo fra i tre settori popolari e il Vaticano. E che non avrà a che fare con alcuna forma di potere o di burocrazia. In terzo luogo, è sorta durante l’incontro, sebbene non come proposta dell’intera plenaria, l’idea di convocare una riunione simile con altre tradizioni religiose. Ma sembra che vi sia una difficoltà: non tutte le istituzioni religiose sono verticalizzate come la Chiesa cattolica. Per esempio, rispetto ai musulmani, con chi si deve dialogare? In ogni Paese vi è una diversa corrente. Ma, per muovere un passo su questa strada, noi della delegazione brasiliana abbiamo già parlato di promuovere una riunione brasiliana in cui coinvolgere tutte le religioni.
Perché non sono stati invitati i teologi della Liberazione, proprio loro che hanno accompagnato così da vicino i movimenti popolari, anche pagando un prezzo molto alto?
Durante la preparazione dell’incontro, che è durata un anno, in Vaticano hanno detto chiaramente che non volevano che includessimo preti, religiosi e religiose nelle nostre delegazioni, perché sostenevano, credo a ragione, che preti e religiosi hanno altri spazi di convergenza. D’altro lato, c’era la volontà politica di invitare i vescovi e dal Vaticano ci hanno chiesto indicazioni su quali siano i pastori che, in ogni Paese, accompagnano maggiormente i movimenti popolari. In generale, siamo rimasti molto soddisfatti dei 17 vescovi presenti: non hanno voluto alcun protagonismo, hanno tenuto un profilo umile e hanno ascoltato molto.
Ci sono state resistenze da parte dei movimenti rispetto all’idea di promuovere un incontro in Vaticano?
Dopo aver accettato, all’interno del Movimento dei Senza Terra, di coinvolgerci in questo processo, abbiamo presentato la proposta alla Via Campesina Internazionale e all’articolazione dei movimenti sociali dell’Alba, di cui fanno parte più di mille movimenti di tutta l’America Latina. All’interno della Via Campesina, chi ha espresso più, diciamo così, inquietudini, sono stati i compagni islamici: volevano capire bene il senso dell’iniziativa, ma poi hanno capito e sono venuti.
E le donne?
Le donne contadine non hanno espresso alcuna riserva, e infatti ve ne erano varie all’incontro. All’interno dell’Alba, il dibattito è stato maggiore, perché è uno spazio più plurale. E alcune resistenze, o inquietudini, sono state espresse dalle femministe, le quali hanno preferito non partecipare, per marcare una differenza rispetto a determinate posizioni assunte dal Vaticano.
Passando al Brasile, come interpreti l’attuale scenario politico brasiliano all’indomani delle elezioni che hanno portato a una vittoria di strettissima misura della presidente Dilma Rousseff?
Nel 2002 il voto a Lula era stato un voto di protesta contro il sistema neoliberista. Ma questa vittoria era stata ottenuta solo sulla base di un programma di alleanza tra tutte le classi. Era, insomma, un governo di conciliazione di classe che ha consentito di guadagnare a tutti, ma ai banchieri molto di più. Un governo centrato su tre punti: la difesa dello Stato di fronte al mercato, con un rilancio delle politiche pubbliche; l’impulso al settore industriale come motore di crescita dell’economia; la distribuzione di reddito a favore delle classi popolari. Questo programma, che viene definito neodesenvolvimentista, è stato messo in atto per dieci anni, consentendo al governo a guida Pt di ottenere il consenso per restare al potere. Ma ora è arrivato al suo limite. Il governo, infatti, non ha avuto la forza sufficiente per far fronte al capitale internazionale, così da controllare il tasso di interesse e il tasso di cambio, e ciò ha condotto nuovamente a un processo di de-industrializzazione. È da tre anni che l’industria non cresce, e che non cresce l’economia.
La presidente Dilma ha pensato che fosse possibile portare avanti il vecchio programma, ma questo programma è finito. Il governo, per esempio, ha portato dal 6% al 15% il numero di giovani che ha accesso all’università, ma c’è ancora un 85% che resta fuori. Tutti gli anni si presentano agli esami di ammissione universitaria 8 milioni di giovani per appena 1 milione e 600mila posti. Ciò vuol dire che più di 6 milioni rimangono esclusi ogni anno. I lavoratori hanno ottenuto alcune conquiste fondamentali, soprattutto grazie all’aumento dei salari e a un maggior livello di occupazione. Ma ci sono comunque 40-50 milioni di giovani che vogliono lavori più qualificati o che non sopportano più l’inferno in cui si sono trasformate le città brasiliane. È così che si spiegano le giornate di protesta del giugno 2013. Ma erano solo proteste e molti dei manifestanti si sono astenuti alle elezioni: sono 29 milioni i brasiliani che non sono andati a votare.
La presidente Dilma non voleva credere che la borghesia brasiliana le avrebbe fatto opposizione, eppure lungo tutta la campagna elettorale è restata al secondo posto nei sondaggi, superata prima da Marina Silva (la quale, però, ha perso consensi a causa della sua personalità ondivaga) e poi da Aécio Neves. Alla fine è riuscita a vincere di strettissima misura, ma al Congresso la destra può contare su un’ampia maggioranza. Si dice addirittura che sia un Congresso più conservatore che durante l’epoca della dittatura. Così ora la destra controlla il Congresso, il potere giudiziario, i mass media e ora mira anche a controllare il governo.
E cosa può fare allora il governo Dilma in questo quadro?
Il governo ha solo una soluzione: deve allearsi con i lavoratori e i movimenti popolari e operare i cambiamenti che la popolazione esige e che il progetto neodesenvolvimentista non ha permesso di realizzare. La destra che prima appoggiava il governo ora è all’opposizione in Parlamento e nella società: se il governo insegue l’illusione di ricomporre l’alleanza con le destre finirà male già durante il primo anno. E tutti i movimenti andranno all’opposizione. Se invece il governo sceglierà la strada dell’alleanza con i movimenti, la prima riforma che dovrà realizzare sarà la riforma politica del Paese. Perché questa potrà alterare i rapporti di forza nella società aprendo così la strada alle altre riforme strutturali: la riforma agraria, la riforma educativa, quella tributaria, quella urbana e quella dei mezzi di comunicazione. E questo potrà avvenire solo attraverso la convocazione di un’Assemblea Costituente parallela al Congresso eletto, in quanto quest’ultimo è ostaggio di appena 117 imprese, le quali hanno speso in finanziamenti ai politici ben 2 miliardi di dollari (una cifra inferiore solo a quella spesa negli Stati Uniti). Cosicché è necessario unire il più possibile le forze per ottenere la convocazione di un plebiscito sulla Costituente. Se poi il governo eviterà sia di allearsi con la destra sia di dare risposta alle rivendicazioni dei movimenti popolari, assisteremo a un lungo periodo di crisi e di instabilità politica. Ma bisogna essere ottimisti, perché la fase di apatia sociale sta terminando, come hanno dimostrato i giovani nel giugno del 2013. E se quello era un movimento di protesta privo di un programma, ora si tratta invece di discutere un programma per una grande alleanza tra i movimenti su proposte di riforma radicali. Occorre dunque stimolare la lotta sociale attraverso la creazione di un grande movimento di massa. E occorre stimolare un dibattito politico per trovare le soluzioni a quella che, per la prima volta, è veramente una crisi mondiale: economica, sociale, ambientale, politica. La profezia di Marx non è mai stata così attuale: lavoratori di tutto il mondo uniamoci! Ci attende insomma un periodo di intensa lotta politica. Per fortuna, possiamo contare su un grande alleato: la natura. La natura neanche il capitalismo può comprarla. E ogni volta che il capitalismo l’aggredisce, ne provoca anche una reazione, generando un problema ancora più grande. Ora tocca a noi rendere cosciente la società sul perché la natura reagisca in questo modo. Per esempio, la contaminazione provocata dall’uso intensivo dei veleni in agricoltura sta moltiplicando i casi di tumore. Ogni anno, in Brasile, si registrano 500mila nuovi casi di cancro: è il prezzo che il capitalismo ci impone producendo alimenti contaminati. Ma questa è una contraddizione che deve essere utilizzata per convincere le persone che quello del capitale è un modello di morte.
Come si spiega l’assenza completa della questione ambientale durante tutta la campagna elettorale?
Nessuna delle questioni relative ai problemi strutturali del Paese è stata affrontata. Non si è parlato della questione ambientale – non ne ha parlato neppure Marina Silva, in quanto è scesa a patti con il settore ruralista, ed è questo che le ha fatto perdere il voto dei giovani, perché si è rivelata ipocrita e opportunista -; non si è parlato della riforma agraria; non si è parlato della riduzione della giornata di lavoro né della precarizzazione dell’occupazione; non si è parlato dei diritti dei popoli indigeni né di quelli dei quilombolas. I grandi temi relativi alla necessità di riforme strutturali per il Paese non sono stati toccati. Non sono stati toccati dalla destra, perché questa era interessata a sfruttare il tema della corruzione per far passare l’immagine del Pt come un partito di ladri. E non sono stati toccati dalla sinistra, perché Dilma non voleva impegnarsi. Per fortuna, nella campagna per il secondo turno, per quanto questi temi abbiano continuato a restare fuori dal dibattito, è emerso chiaramente che, se Dilma non cercherà di allearsi con i movimenti popolari, il suo governo diventerà ostaggio delle destre.
Evo Morales ha detto in passato (per quanto il suo governo non sia certo privo di contraddizioni al riguardo) che i diritti della natura sono più importanti persino di quelli degli esseri umani, perché se non vengono garantiti i primi non potranno mai essere possibili i secondi. Si tratta di una questione talmente grave che dovrebbe precedere qualsiasi altra considerazione. Perché allora tale consapevolezza è ancora così limitata tra i movimenti popolari di tutto il mondo (esclusi ovviamente quelli ambientalisti)?
È vero che non esiste una coscienza tra i movimenti popolari di questa centralità della questione ambientale. E tra i movimenti consapevoli della gravità del problema credo ci sia una lettura, che può essere giusta o sbagliata, secondo cui non si può affrontare la questione ambientale separatamente dal cambiamento del modello economico. E così, in un certo modo, diventano prioritari i temi legati al cambiamento generale, anche perché spesso, in Brasile, i movimenti che mettono al primo posto la questione ambientale finiscono per ridurla, per esempio, al problema della deforestazione dell’Amazzonia, che di certo è gravissimo, ma che non è l’unico: basti pensare ai danni provocati dall’uso dei veleni in agricoltura, che distruggono la biodiversità, o dall’allevamento bovino. Il fatto è che i movimenti devono maturare questa coscienza e questo non è immediato. Si tratta di un processo.
Claudia Fanti
Da Adista n. 40/14
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Intervento di Giovanni Pandolfini all’incontro mondiale dei movimenti popolari tenutosi in Vaticano il 27-28-19 ottobre
Cari compagni e compagne,sono un contadino italiano e sono attivista di una rete che si chiama Genuino Clandestino. Voglio con questo mio intervento ringraziare profondamente coloro che ci ospitano e tutti quanti i partecipanti e gli intervenuti. Le parole e i contenuti che ho ascoltato in questi giorni sono di enorme valore. Sono l’unica vera ricchezza di cui disponiamo. Non sono abituato a parlare con limiti di tempo così stretti,quindi ho scritto queste parole che vi sto leggendo per non perdere troppo tempo e al tempo stesso non tralasciare niente di quello che voglio portare come contributo dal nostro movimento.
Genuino Clandestino è una rete di persone, gruppi informali e associazioni che praticano e sostengono l’agricoltura contadina nel nostro Paese.
Quell’agricoltura di piccola scala che tutela la salute della terra, dell’ambiente e degli esseri viventi a partire dall’esclusione di fertilizzanti, pesticidi di sintesi, diserbanti e organismi geneticamente modificati, quell’agricoltura che riduce al minimo l’emissione di
gas serra, lo spreco di acqua e la produzione di rifiuti. Quell’agricoltura che promuove la “cultura” contadina
fatta di vita semplice, di relazioni umane e che ripudia lo
sfruttamento della manodopera, il razzismo, il fascismo e il
sessismo. E come ho sentito dire ieri anche noi poniamo la
dignità dell’essere umano al di sopra del
denaro e del profitto. “Il cibo non è una merce, la terra
non è un supermercato”. Con questi nostri presupposti ci
troviamo fuorilegge , clandestini, il nostro ordinamento sociale, il nostro Stato ormai completamente dominato dal sistema economico capitalista e neoliberista ci estromette da un modello produttivo imposto a forza di leggi e regolamenti che come ho detto ci posiziona fuori dalla cosiddetta legalità.
Esistono tre modi per cancellare la figura del contadino e, i compagni qui presenti lo sanno bene, consistono nella violenza, nell’inganno e infine nella creazione di una cultura che fa in modo che smettere di essere contadini significhi progresso, emancipazione, passaggio a condizioni migliori.
La lingua italiana consente almeno una decina di parole che si utilizzano per offendere e denigrare una persona. Ebbene, sono tutti sinonimi di “contadino”. I contadini in Italia sono stati cancellati. La nostra bella campagna è un deserto, o cementificata da aree industriali e infrastrutture o fatta da enormi superfici monoculturali o
da abbandono.
Non si vede più un contadino al lavoro nei campi, solo enormi e costose macchine che non hanno lo scopo di aiutare il contadino nella sua fatica quotidiana ma di sostituirlo.
Oppure, ultima novità, si possono vedere grandi squadre di nuovi schiavi – sì, l’Italia, il grande Paese industriale modello di sviluppo, benessere e democrazia, sta importando schiavi. Sta importando schiavi per potersi permettere che i luccicanti scaffali dei centri commerciali siano sempre pieni di cibo a prezzi accessibili per consumatori sempre più insoddisfatti. Cibo spazzatura sempre più inquinato e sempre più intriso di sangue e iniquità. Un sistema –
chiunque lo capirebbe – sempre più fragile e pericoloso. Ieri ho udito parole bellissime contro la guerra. Ebbene l’Italia, anche se non lo ammette, è di nuovo in guerra, una guerra sudicia e strisciante, e le industrie che producevano ordigni e veleni per uccidere il nemico adesso fanno concimi chimici e pesticidi; quelle che costruivano i
carri armati adesso fanno i trattori e i padroni di queste fabbriche sono gli stessi che fanno le regole per noi. Una guerra con tanto di vittime innocenti. L’Italia ha un primato mondiale: siamo il Paese che ha più tumori neonatali al mondo, tumori dovuti a sostanze tossiche che passano attraverso la placenta della madre al figlio che sta ancora dentro di lei. -
Stop ai bombardamenti su Gaza
Solidarietà con il Popolo Palestinese
L'operazione “Protective Edge”, scatenata l'8 luglio 2014 da Israele con centinaia di bombardamenti sulla Striscia di Gaza, ha ucciso in pochi giorni decine di palestinesi dei quali molti giovani e bambini.
Le fonti ufficiali del ministero della sanita' palestinese riportano a tutt'oggi 189 morti e 1400 feriti, 540 case totalmente distrutte, 4 300 case parzialmente distrutte e e altre 530 non agibili, dall’inizio dell’attacco militare.
Massacri e devastazioni a marchio israeliano sulla popolazione palestinese si ripetono ormai ciclicamente. Come nelle operazioni “Piombo Fuso” del 2008 e “Colonna di fumo” del 2012, obiettivi dei bombardamenti sono ospedali, scuole e altri siti civili.
I bombardamenti su Gaza arrivano ad un mese dall'insediamento del Governo di unità nazionale palestinese e quasi in concomitanza del 10° anniversario della Sentenza della Corte Internazionale di Giustizia che, il 9 luglio 2004, ha condannato il muro israeliano nei Territori Palestinesi.
Non possiamo restare silenti dinanzi ad un attacco armato indiscriminato verso una popolazione che non ha rifugi, posti sicuri o possibilità di fuga. Una popolazione strangolata economicamente e rinchiusa in una prigione a cielo aperto.
Riteniamo inaccettabile che la risposta all’omicidio dei 3 coloni, avvenuto in circostanze ancora ignote, sia l’indiscriminata punizione di una popolazione civile indifesa: il diritto umanitario vieta le punizioni collettive, definite crimini di guerra dalla IV Convenzione di Ginevra (art. 33).
Il governo israeliano sostiene di voler colpire gli esponenti di Hamas e le sue strutture militari, ma ad essere colpiti finora sono soprattutto bambini e donne. Basta con lo scrivere che Israele reagisce ai missili da Gaza, la verità per chi vuol vederla e i numeri, se non interpretati con slealtà, sono chiari.
Come sempre, Israele è sordo a tutte le sentenze ed agisce nel silenzio complice dell'Unione Europea che si è ormai circondata da pericolose situazioni di guerra, mentre in Italia l'Alenia Aermacchi (Finmeccanica) rifornisce a Israele caccia M-346.
A differenza di quanto avviene a livello istituzionale e mediatico, sono già numerose e partecipate le manifestazioni di solidarietà con il popolo palestinese nel mondo e in Italia alle quali ci uniamo invitando anche ad aderire alla compagna BDS (Boicottaggio Disinvestimento e Sanzioni) contro Israele.
Dal 1948 i palestinesi vivono condannati a un’umiliazione perenne. Non possono neanche respirare senza avere il permesso.
Hanno perso la patria, la terra, l’acqua, la libertà, tutto. Tanto meno hanno diritto a eleggere i propri governanti. Quando votano quelli che non devono votare, vengono castigati. Gaza adesso viene castigata. L’hanno trasformata n una trappola senza uscita, da quando Hamas ha vinto in modo trasparente le elezioni del 2006. Qualcosa di simile è successo nel 1932, quando il Partito comunista ha trionfato nelle elezioni in Salvador.
Affogati nel sangue, i salvadoregni hanno espiato la loro cattiva condotta e da allora hanno vissuto sottomessi alle dittature militari.
La democrazia è un lusso che non tutti meritano. Sono figli dell’impotenza i razzi che i militanti di Hamas, rinchiusi a Gaza, sparano con puntigliosa imperizia sulle terre che erano palestinesi e che sono state usurpate dall’occupazione israeliana.
E la disperazione, al limite della follia suicida, è la madre delle bravate che negano il diritto all’esistenza di Israele, grida senza nessuna efficacia, mentre l’efficacissima guerra di sterminio sta negando, da molti anni, il diritto all’esistenza della Palestina.
E di Palestina ne rimane poca.
Passo dopo passo, Israele la sta cancellando dalle mappe.
I coloni invadono, e intanto i soldati correggono la frontiera.
Le pallottole consacrano lo spoglio dei resti, per legittima difesa.
Non c’è guerra di aggressione che non dica di essere per difesa. Hitler invase la Polonia per evitare che la Polonia invadesse la Germania.
EDUARDO GALEANO
Associazione Campiaperti
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Operette Immorali – La Lupa, lo Stato e il Grillo Talpa
di Marzia e Mattia
Lupa: Pronto?
Grillo talpa: Pronto, ciao lupa sono il grillo talpa.
Lupa: Ciao grillo talpa come va?
Grillo talpa: Bene bene, è da una settimana che ti sto chiamando…
Lupa: Lo sai che non amo essere rintracciata, poi di solito dove sto io non prende…
Grillo talpa: Sai benissimo che l’unico modo per non essere rintracciata è di non averlo proprio il cellulare. E’ inutile che fai quella fuori dal sistema col cellulare!
Lupa: Hai ragione grillo. Prima o poi lo porterò all’isola ecologica. Ma anche quel giorno sono certa che continuerò a vivere nelle contraddizioni. Ti ho mai parlato della mia teoria dell’eliminazione graduale dei compromessi?
Grillo talpa: No, magari un’altra volta eh lupa…a proposito di compromessi…hai visto i risultati delle elezioni?
Lupa: Quali elezioni?
Grillo talpa: Come quali elezioni? Cazzo lupa! Vivi proprio fuori dal mondo!
Lupa: Preferibilmente nella boscaglia.
Grillo talpa: Le elezioni europee lupa, le elezioni europee, fatte per eleggere il parlamento europeo, il parlamento dell’Europa cribbio!
Lupa: Sì ma non ti scaldare grillo. Tu grillo credi veramente che abbia un senso andare a votare? Per il parlamento europeo poi…
Grillo talpa: No che non ci credo. Non ci ho mai creduto.
Lupa: Quindi non ci sei andato.
Grillo talpa: Certo che ci sono andato.
Lupa: E per quale motivo se non ci credi?
Grillo talpa: Perché le persone hanno bisogno di poter credere che abbia un senso e in più siamo ad andarci più tutti si convincono che abbia un senso.
Lupa: Quindi lo fai per le persone…
Grillo talpa: No lupa. Non capisci proprio un accidenti di politica. Lo faccio per le istituzioni, per lo Stato, per il sistema, perché tutto non crolli miseramente. Per senso di responsabilità, per spirito civico, per il bene comune insomma.
Lupa: Ma di quale bene comune parli grillo?
Grillo talpa: L’unico bene comune possibile: il bene comune delle banche, dell’alta finanza, delle grandi industrie, dei petrolieri, dei faccendieri, delle cooperative rapaci, dei devastatori di montagne, dei fabbricanti di armi, “dei fabbricanti di saponette”, dei potenti di ogni colore, di chi regge i fili insomma. Il bene dei potenti è il vero bene comune. Senza di loro il popolino sarebbe spacciato…quando hai tempo rileggiti la Leggenda del Grande Inquisitore…
Lupa: Vabbé. Ma chi hai votato alla fine? I grillini?
Grillo talpa: Macché i grillini! Come sei scontata lupa! Solo perché hanno quel nome… Poveroni, sono carini e simpatici e la maggior parte di loro è animata da meravigliose intenzioni, poi li sento un po’ tutti come figli miei. In effetti anche loro sono dalla mia parte, anche se forse non se ne accorgono. Anche loro, anzi, soprattutto loro, sono lì per contribuire a dare una parvenza di democraticità al tutto. Vedi lupa, molte persone sono arrabbiate e hanno bisogno di trovare qualcosa dentro cui incanalare la loro rabbia. Sarebbe molto pericoloso se questo qualcosa non fosse controllabile all’interno delle istituzioni. Per questo esiste il mio omonimo senza talpa.
Lupa: Ma chi hai votato alla fine?
Grillo talpa: Ma per Renzi diamine! Ha grinta quel boy scout! E’ riuscito a fare entusiasmare anche il Resto del Carlino, pensa un po’!
Lupa: Comunque grillo a me di questa storia non me ne può fregare di meno…mi hai chiamato per questo?
Grillo talpa: No. In realtà ti ho chiamato per dirti che sei una minchiona.
Lupa: E perché?
Grillo talpa: Perché ho visto sul giornale cos’hai combinato con quelle pecore…
Lupa: Avevamo fame. Il branco doveva mangiare.
Grillo talpa: Avevi fame…proprio le pecore dovevi far fuori? Così non ti fai una bella pubblicità…Quelle immagini così truci in prima pagina…il pubblico avrà pensato che sei davvero feroce.
Lupa: Non c’era altra selvaggina, e non per colpa mia. E se il pubblico si è scandalizzato significa che è un ipocrita allora…con tutti quegli agnelli che ogni anno vengono ammazzati per essere mangiati dagli umani…
Grillo talpa: Ma lascia stare i massacri di agnelli! Sei anacronistica lupa. Il tuo tempo era già finito. Sei stata risuscitata per fare piacere agli “amanti della natura”, ai fotografi naturalistici, agli enti parco e agli impresari del turismo. Anche tu sei funzionale al sistema cara la mia lupa rivoluzionaria. Solo per questo non vi hanno ancora sterminato di nuovo. Ricordatelo. E ricordati anche, cara la mia lupa, che l’unico predatore da queste parti è l’essere umano. Non c’è spazio per altri predatori. Non capisci che è un monopolio il loro? Vuoi per caso metterti contro i monopoli? Vuoi finire in un pilone di cemento? Non puoi permetterti di mangiare carne destinata alla produzione di cibo. Rompi un equilibrio.
Lupa: Ma di quale equilibrio parli grillo, che non abbia già rotto l’essere umano con la sua “grande civiltà”?
Grillo talpa: L’equilibrio della produzione scemotta! Da quella pecora sai quanto latte doveva essere prodotto? Sai quanti agnelli per il macello dovevano ancora essere partoriti?
Lupa: Avevamo fame. Il branco doveva mangiare. Anche tu quando hai fame mangi il colletto tenero delle lattughe.
Grillo talpa: Dai non fare paragoni assurdi! Stiamo parlando di danni molto più ingenti e poi una lattuga ammosciata non farebbe scalpore fotografata in prima pagina. Te l’immagini il titolo sul giornale: “Allarme grillo talpa, massacro di lattughe”?
Lupa: E la grandine, allora, che ammacca la frutta, squarcia le foglie e quando vuole tutto devasta? Le cavallette che fanno strage di giovani piantine appena trapiantate? E la monilia che annienta raccolti di ciliegie e albicocche? E l’oidio e la peronospera che insidiano le viti e tante verdure? E l’istrice che si mangia le patate? E la pioggia incessante che nutre le malattie e inzuppa i campi al punto che non è più possibile seminare per mesi e mesi? E il gelo che brucia i finocchi? E il solleone che ustiona i pomodori e i peperoni? E la dorifora che sfoglia le patate? E la carpocapsa che rode mele e noci? E le cavolaie e i lepidotteri tutti? Per non parlare dei cinghiali e dei caprioli, il giochino preferito dei cacciatori…E la siccità poi?
Grillo talpa: Per questo esiste lo Stato, cara la mia lupa. Per questo vado a votare. Lo Stato è il papà che ti dà le sculacciate (o le cinghiate quando serve), ti chiude nello sgabuzzino buio se fai il cattivo, ti porta al circo se fai il bravo, ti dà i contributi per pagare i debiti con le banche e ti paga i danni quando arriva la grandine o il lupo cattivo (per danni da grillo talpa non credo esistano risarcimenti).
Lupa: Bé allora se c’è lo Stato che paga qual è il problema?
Grillo talpa: Paga troppo poco.
Lupa: Comunque sia, io sono lupa e continuerò a fare la lupa, non credo che per qualche pecora in meno gli umani moriranno di fame. Mi auguro che il papà Stato dia i giusti risarcimenti ai pastori, basta che non cerchi di rinchiudermi dentro i suoi recinti. Piuttosto mi spari! Quello lo sa fare bene no? E quando vedi i tuoi amici umani ricorda loro che la natura non è tutta al servizio della loro maledetta produzione, ricorda loro che ogni tanto devono accettare di pagare un tributo alla natura per tutto quello che hanno preso e continuano a prendere, ricorda loro che forse è meglio essere liberi con una garanzia in meno che schiavi pieni di garanzie.
Grillo talpa: Sei sempre la solita, lupa! Solo a papà Stato sono disposti a pagare i tributi gli umani. E non sono pochi.
Lupa: Te l’ho detto, lupa sono e lupa resterò.
Grillo talpa: Vabbé dai, si è fatto tardi e sto pure finendo i minuti dell’offerta Vodafone, ‘notte lupa, ci risentiamo…
Lupa: Buonanotte grillo! E se li vedi salutami i tuoi amici grillini! E raccomanda loro di riascoltare meglio Storia di un impiegato!
Grillo talpa: Ehi lupa! Ci sei ancora?
Lupa: Dimmi.
Grillo talpa: Questa ti piacerà.
Lupa: Quale?
Grillo talpa: Homo naturae lupus!
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La comunicazione è di tutt*
Il sito web www.campiaperti.org nasce con il compito di comunicare ciò che facciamo ogni giorno, i nostri valori, gli obiettivi che perseguiamo, le battaglie culturali che ci coinvolgono e non solo.
Perché campiaperti.org vuole essere anche il luogo dove collezionare i saperi degli agricoltori, degli allevatori, dei trasformatori e di tutti coloro che aderiscono all’associazione.Molti produttori e co-produttori hanno nella pratica di tutti i giorni acquisito competenze, conoscenze, ecc. e molte altre realtà sociali nelle reti di relazioni che percorriamo sperimentano pratiche alternative, sostenibili, ecologiche, ma noi abbiamo l’ambizione di fare in modo che campiaperti.org diventi un luogo dove collezionare questi saperi, dove dar loro visibilità, storicizzarli perché siano a disposizione di tutt* noi?
E’ per questo motivo che vi chiediamo di mandare le vostre ricette, i modi di trasformare le materie prime che producete o che comprate nei mercati, ma anche i saperi del vostro orto, o il modo in cui riuscite a ridurre il carico di infestanti nei cereali, piuttosto che le pratiche biodinamiche, sinergiche, ecc. a cui vi affidate, tutto ciò che vi sembra interessante ed attinente. Scrivete degli articoli o fornite articoli di altri da pubblicare sul sito (pensate anche ad una foto da inserire) e mandateli a questo indirizzo: comunicazione@campiaperti.org
Volete collaborare più stabilmente? Chiedete di essere registrati come autori/editori per pubblicare direttamente da wordpress.
#sentiamoci
La comunicazione è di tutti! -
In una settimana il lupo ha ucciso 12 pecore
In una settimana il lupo ha ucciso 12 pecore, ferito gravamente altre 10, e spaventato piu di 200. tutto in pieno giorno, in mattina, in area
visibile e recintata. Presi dalla disperazione siamo andati davanti alla regione responabile per i danni da predazione. Crediamo che 80 euro di rimborso meno lo smaltimento delle carcasse (circa 30euro) sia troppo poco ( una presa in giro). La vita di un animale vale molto di piu di 50 euro, per la famiglie che ci vivono, per la collettività ( manteniamo il territorio faccendo pastorizzia in zone svantaggiate, perchè simo rimasti pochissimi a fare una vita fuori dal tempo). La reintroduzione del lupo non deve essere fatta sulla pelle dei pastori.
Sono ormai centinaia gli animali predati in tutta la regione. Solo le persone che conosciamo hanno perso più di 80 animali. La selva romanesca in due anni quaranta, Salvatore Cottu negli ultimi anni almeno una trentina …. i lupi attaccano persino i vitelli al pascolo.
Il costo dei rimborsi che sostiene la collettività è di 200.000 euro l’anno. Noi vogliamo gli allevamenti etici , rispettosi del benessere animale, biologici, con gli animali al pascolo, ma noi non siamo in grado di sostenere i costi per tutelare i nostri animali dal lupo.
Potremo come collettività grazie alla tecnologia tracciare la presenza del lupo? Dei collari con il gps…. le recinzioni non sono la
soluzione e i cani da pastore non si possono tenere nelle aree abitate, ( le persone possono essere agredite dai cani, i cani difendono il territorio e le pecorte da tuttti gli intrusi anche i ciclisti) Il vedere ripetutamente gli animali attaccati, uccisi, sbranati e spaventati ti porta a chiudere per disperazione; oggi per poter alleviare almeno il senso di impotenza siamo andati a chiedere delle azioni più concrete, vorremmo attenzione dai giornali . Se potete difulgrare la notizia saremo molto felici.
Grazie
Marco Feltrin e Salvatore Cottù -
OGM: TUTELA DELLA BIODIVERSITÀ E SOVRANITÀ ALIMENTARE
Verso Genuino clandestino 16-17-18 maggio a Roma – introduzione al tavolo no ogm
L’uso degli Ogm (Organismi geneticamente modificati) è l’ennesima soluzione che le multinazionali propongono a problemi che esse stesse hanno creato. Le multinazionali dell’agrochimica, infatti, per affermare il loro monopolio hanno brevettato il materiale genetico, accreditandosi come inventori e rendendo legale il sopruso sula natura e illegale la sua tutela, come lo scambio e la conservazione delle sementi antiche e autoctone
Ciò che sta avvenendo in Friuli Venezia Giulia, è paradigmatico, diversi agricoltori hanno seminato e continuano a seminare OGM, illegalmente ma impuniti.
L’attuale sistema agroindustriale ha un ruolo fondamentale nel dissesto ecologico in cui versa il nostro pianeta. Per produrre cibo si consumano più risorse energetiche, idriche e naturali di quante poi vengono reimmesse nel ciclo vitale della Terra, portando con sé inquinamento, riduzione della biodiversità e gravi problemi sociali, contribuendo in modo sostanziale al Riscaldamento Globale.
La questione degli Ogm, è direttamente connessa alla necessità di un cambiamento delle relazioni sociali ed economiche nella loro globalità, guardando a produzioni alimentari proporzionate ai reali bisogni dei territori e a favore di un agire produttivo rispettoso della natura, oltre che dei diritti dei piccoli agricoltori.
A partire da queste considerazioni sugli Ogm, l’invito è di individuare delle linee di un agire collettivo finalizzato a scardinare le logiche dell’agroindustria, il No OGM e’ un netto No a questa agricoltura, intensiva e monoculturale.
- Quali azioni intraprendere per coinvolgere e sensibilizzare gli agricoltori verso altri modi di pensare e fare agricoltura?
- Analisi e riflessioni sulla normativa vigente che regala la coltivazione di piante ottenute con manipolazione transgenica (ovvero tra organismi con DNA distanti tra loro), revisione delle norme attuali fino alla modifica/abolizione dei TRIP’s (Trade Related Intellectual Property Rights, cioè diritti di proprietà intellettuali collegati al commercio), per la tutela e il diritto alla “sovranità alimentare” di ciascun popolo.
- Come sostenere i “contadini custodi di biodiversità”, che producono varietà tradizionali e locali, perfettamente adattate a un ecosistema, in grado di rispondere efficacemente ai bisogni specifici del territorio in cui vengono coltivate e allevate e non essere a uso esclusivo e servile delle logiche mercantilistiche di poche multinazionali?
- Come sostenere una ricerca libera e accessibile e soprattutto realmente correlata alle concrete esigenze della produzione alimentare in relazione al Riscaldamento Globale?
- Come costruire un movimento sociale ampio e incisivo, al di là delle differenze, organizzando o sostenendo tutte quelle pratiche e forme di lotta a tutela della biodiversità e contro la produzione, la trasformazione, la commercializzazione e il consumo di Ogm in Italia e all’estero? Quali azioni di sensibilizzazione e coinvolgimento attivo dei consumatori/co-produttori, attraverso nuove relazioni tra contadini e cittadini, anche a partire dalla prossima Expo 2015?
- Come condividere un’agenda comune per la tutela della biodiversità e contro gli Ogm?
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La compatibilità del contadino oggi: vecchie e nuove resistenze
Verso Genuino clandestino 16-17-18 maggio a Roma – riflessione di Giovanni (Toscana)
La compatibilità del contadino oggi: vecchie e nuove resistenze
Più volte nella storia di tutti i tempi e a tutte le latitudini la” legge del più forte ” ha privato gli uomini e le comunità locali del diritto di autodeterminarsi nel loro fabbisogno alimentare allo scopo di ottenere profitti e potere .
Attraverso vari sistemi ,dai più violenti e brutali ai più sofisticati e ingannevoli la terra e il suo possesso sono stati sottratti a chi ne treva cibo a vantaggio di chi ne traeva proifitti.
LA PAROLA D’ORDINE E’ DECONTADINIZZARE IL TERRITORIO .
Molti sono stati i modi che hanno portato alla cancellazione della figura del contadino .
E’ stata, ed è ancora a certe latitudini , usata la forza e la violenza , si è usata l’arma dell’inganno e
del ricatto ed infine ,ultimo e più sofisticato, si è fatto in modo di creare una cultura per la quale lasciare la terra significava “progredire” , “emanciparsi” passare da una condizione simile a quella degli animali per andare verso il “progresso” e il “benessere”.
E’ vantaggioso trasformare i contadini in braccianti o meglio ancora migranti che possono aspirare a diventare cittadini/consumatori, sempre più concentrati in grandi agglomerati urbani con l’ unica possibilità di sopravvivenza rappresentata dall’ottenimento di un compenso per la vendita della propria forza lavoro , ammesso che ci sia chi è disposto a comprarla .
In un contesto come il nostro di oggi essere contadino, praticare un’agricoltura di sussistenza, volta all’ottenimento del cibo per noi stessi e per la propria comunità , vivere di una economia di piccola scala dove il principale reddito consiste nelle relazioni e nello scambio in un clima di solidarietà e di condivisione è un atto rivoluzionario , di “resistenza” .
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Quali sono nella nostra realtà economica le forme più efficaci e fantasiose per creare sistemi autonomi dove mettere in pratica il vivere contadino in resistenza?
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Come meglio creare alleanze e coinvolgere coloro che nelle nostre città cominciano a sentire la pesantezza di essere “consumatori” e quindi “polli di allevamento” nella consapevolezza di appartenere ad un sistema immorale e privo di rispetto per l’uomo,gli animali e la terra , con contraddizioni e ingiustizie sociali sempre più evidenti ?
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Come difendersi da un sistema che nel tentativo di riciclare se stesso e la propria immagine ruba contenuti e risorse umane a chi lo contesta e tenta di cambiarlo ?
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Come individuare chi veramente aspira ad un cambiamento sincero da chi pratica una più o meno organizzata “gestione del dissenso” allo scopo di neutralizzarlo e di svuotarlo di significato,possibilmente guadagnandoci sopra ?
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FICO (Fabbrica Italiana COntadina) – C’era una volta la campagna…
Gli uomini mangiavano ciò che essi non avevano coltivato,
più nessuno vincolo li legava al proprio cibo
la terra si apriva sotto il ferro e sotto il ferro gradatamente inaridiva:
nessuno c’era più ad amarla o a odiarla.
Nessuno più la supplicava o malediceva.
J. Steinbeck, Furore, 1939
C’era una volta la campagna.
Nella campagna ci vivevano i contadini e le contadine.
Era una vita dura, povera, a volte forse anche felice.
Era dura soprattutto perché la terra non era quasi mai di chi la lavorava.
Poi sono arrivate due guerre. Poi sono arrivate le sirene delle fabbriche.
In molti sono stati ammaliati dal loro canto. E sono morti: di silicosi, di tristezza, di amianto o di appartamento. E in campagna sono rimaste solo le “trattrici”.
E la campagna si è trasformata in una fabbrica. Una Fabbrica Omologata a Cielo Aperto.
Bisogna fare così e basta. Perché l’ha detto il tecnico, l’associazione, il consorzio, il Mercato. Bisogna fertilizzare, diserbare, avvelenare, produrre, fertilizzare, diserbare, avvelenare, produrre.
Per niente. Per poter continuare a lamentarsi ogni anno del prezzo delle mele troppo basso. Perché è così, l’ha detto il Mercato. L’ha detto la Grande Distribuzione.
Avanti e indietro, avanti e indietro, le trattrici rivoltano la terra per un paesaggio fatto su misura per gli aeroplani.
Si montano e si smontano pezzi dentro i solchi o lungo le file, pezzi destinati a diventare mangime industriale. I contadini, ridotti a “fantocci meccanici” dentro le cabine delle trattrici, non toccano più la terra. Solcano i campi come Grandi Magazzini. Muletti, nastri trasportatori, catene di montaggio. Controllo qualità, pezzatura, velocità, quantità, efficienza.
Barbabietole da zucchero, mais, frumento, medica, patate, barbabietole da zucchero, mais, frumento, medica, patate, barbabietole…Monocolture a rotazione, quando va bene, per ettari ed ettari…
Nel frattempo le città sottovuoto mangiano queste tonnellate di monocolture confezionate in meravigliosi packaging di design. Nel frattempo le città, trasformate in ologrammi di se stesse, abbandonano i propri centri al consumo e alla museificazione. Le periferie, non più campagna, non ancora città, si ingrossano di palazzine e si fanno chiamare new towns. La suburbana, il giardinetto, il posto auto garantito e il gioco è fatto. Le nuove città invisibili.
Nel frattempo il centro si decentra e diventa centro commerciale. Ogni new town ha il suo. C’è n’è per tutti i gusti al centro commerciale, dal frappé bio-vegan alle patatine di Mc Donald.
Nel frattempo il pianeta malato richiede una cura ed ecco il miracolo: “lo sviluppo sostenibile”, “la crescita verde”, “la green economy”, fonti battesimali dentro cui un sistema distruttivo si purifica dal suo peccato originale facendo quotidiani impacchi di coscienza. Produrre e consumare verde per poter continuare a produrre, a consumare e a crescere.
E soprattutto a crescere. Ma lenti. Slow. Quale verde? Quale madre terra?
Così nasce Slow Food, la più intelligente operazione di rilancio del made in Italy agroalimentare, pardon, made in Eataly. E il cibo diventa moda, status symbol, Spettacolo: è l’era dello Show Food.
E ciò che va di moda non può che essere FICO.
FICO: Fabbrica Italiana COntadina.
C’era una volta la campagna. E c’era la città con le sue fabbriche. C’erano una volta il settore primario, l’agricoltura, quello secondario, l’industria e quello terziario, i servizi. Là dove c’era la campagna prima arrivò la fabbrica della campagna poi arrivò FICO, il museo della fabbrica della campagna, una falsa campagna in una falsa città, il primo centro commerciale in cui primario, secondario e terziario trovano un’illusoria e incelofanata sintesi. La Disneyland del cibo, è già stata giustamente definita. Una città fatta di cartone e di illusioni, dove si potrà passeggiare oziosamente di sala in sala ammirando le sue nuove collezioni tra un brunch e un coffee break. Al posto della sala “Rubens” ci sarà la sala “Vigneto”, al posto della sala “Goya” quella “Frumento”. Il melo interpreta se stesso annoiato davanti a una guida come una statua del museo delle cere. Ancora una volta: museificazione, consumo e spettacolo. La Fabbrica Imbalsamata COntadina. La coltivazione stessa perde il suo valore d’uso e diventa conservatorio e spettacolo. Presunte frotte di turisti, annoiati dallo shopping e dai musei dei centri cittadini ormai svuotati di senso, andranno alla ricerca di favole sulla cara vecchia campagna ridotta a simulacro di se stessa e a un “Last Minute Market” a km 0 che trasforma gli avanzi della Grande Distribuzione in radical cibi “slow” e le zucche in carrozze luccicanti.
Lontano, in sordina, senza pubblico e senza visite guidate, le zucche continuano inoperosamente a fare le zucche e alcuni umani continuano a zappare tra le file dei cavoli. Non sono operai di una fabbrica a cielo aperto. Non sono pezzi di una macchina in funzione. Non sono fantocci meccanici. Non sono statue di un museo. Vivono in campi bradi, disordinati, tra sterco ed erbe selvatiche. Ci sono ratti, uccelli e insetti in quantità, ci sono cassette sparpagliate ovunque, ci sono versi sguaiati e odori acri. C’è fango. Non è fico materiale da Expo-sizione. Non è FarmVille, la fattoria virtuale inventata da Facebook. Non c’è sterilizzazione possibile. Ci sono soltanto la fatica e la gioia di maneggiare gli elementi per trasformarli in cibo. E di terra ce n’è tanta da occupare tutti i futuri inservienti del FICO, se soltanto si ripensasse l’agricoltura daccapo, se soltanto la campagna tornasse ad essere campagna e la smettesse di atteggiarsi a fabbrica, se soltanto i contadini tornassero a fare i contadini e la smettessero di fare solamente gli autisti di trattrici. Allora le palazzine si svuoterebbero, le new towns diventerebbero fantasmi di fantasmi, i centri commerciali andrebbero in rovina e verrebbero invasi dalle erbe selvatiche e FICO sarebbe soltanto un brutto ricordo. Così in molti tornerebbero a mangiare ciò che hanno coltivato e non ci sarebbe nessuno scarto da magazzino da riciclare in luccicanti ristoranti natural-chic.
Intanto uno spettro FICO si aggira per Bologna.
Cala il sipario sulla sala Vigneto, cala il sipario sui meli di cera, l’ultimo cameriere Eatalyano si aggira nella periferia buia in attesa di un People Mover qualsiasi che lo riporti alla sua new town. In mano uno vassoio di alluminio con gli avanzi degli scarti a km 0. Di lì a poco si potrà sedere alla sua tavola Ikea per consumare la cena. Non perderà occasione di innaffiarla con un buon vino “Ridato alla Mafia” o con un succo di pera “MuoriVerde”.
una riflessione di Marzia e Mattia (contadin* di Campi Aperti)
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A Chiara, Claudio, Mattia e Niccolò
Nella lista Genuino Clandestino sta girando questa filastrocca – mi è piaciuta e ve la ripropongo. L'hanno scritta Marzia e Mattia.
carlo
A Chiara, Claudio, Mattia e Niccolò
Terrore e Libertà
filastrocca in ottave
da cantare tra le fave
Filastrocca di terrore
Filastrocca di libertà
Vi pensiam tutte le ore
questo è certo noi di qua.
Noi di qua fuor di prigione
conosciamo altre galere
ma la vostra è ben peggiore
quella è con vere catene.
Le catene noi sappiamo
che si possono spezzare
come i nervi, come un ramo
se non stiamo lì a guardare.
Lì a guardar non siete stati
violentare la montagna
i furbetti ed i blindati
del paese di Cuccagna.
Il paese è sconfortante
cari amici nelle celle
vive un vuoto desolante
ed ha i nervi a fior di pelle.
E coi nervi poi sappiamo
non si deve mai scherzare
brutti tiri posson fare
quando noi li stuzzichiamo.
Il terrore addormentato
del potere si ridesta
quando un turbine infuriato
gli fermenta sulla testa.
Quando la protesta vuota
messa in scena dai giornali
si fa scelta si fa vita
e ritrova nuove ali.
E il terrore risvegliato
nel bel mezzo di un bel sogno
dove tutti ad un suo segno
sonnecchiavan senza un fiato
scopre a un tratto con sgomento
che non tutti dormivamo
e da allor si dà tormento
d'ogni cosa che facciamo.
Ha paura questo è certo
il terrore ritrovato,
è così che fa il concerto
“Terrorismo contro Stato”.
Terrorista è chi lo suona
terrorista è il loro canto
chi devasta e chi rovina
la montagna senza un pianto.
Terrorista è il giornalista
terrorista è il manganello
terrorista anche la lista
e il mantello del Casello.
Terrorista è il blaterare
di democrazie passate
se per caso ci son state
non possiam più ricordare:
troppi golpe a matrioska
noi viviamo senza sosta
che sia Stato o che sia Cosca
tutti gridan “Nulla Osta!”.
Nulla osta che un processo
contro il senso sia inscenato
“Accorrete proprio adesso,
lo Spettacolo è iniziato!"
Quattro loschi malviventi
che non hanno mai vergogna
han difeso con i denti
dalle talpe una montagna.
Ora devono marcire
come monito in prigione
perché mai si possa dire
che sia loro la ragione.
State attenti menestrelli
del terrore ritrovato
noi non siamo certo quelli
che san fare anche il soldato
ma se la natura un giorno
s'arrabbiasse veramente
toglierebbe voi di torno
e non resterebbe niente.
Treni, strade ed elezioni
tribunali e parlamenti
spazzerebbe le prigioni
spazzerebbe anche i potenti.
State attenti mercenari
che vegliate sulle celle
son tornati i montanari
con un grido sulle spalle.
Questo grido è una parola
che terrore a tutti fa
ed è una parola sola
ora e sempre libertà!
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Intervista a Vandana Shiva
Un'interessante intervista a Vandana Shiva di Giuditta Pellegrini su Terra Nuova.
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La polizia che fa politica (la politica che si fa polizia)
Siamo colpiti dall'impegno con cui la questura e la procura di Bologna si prodigano per smantellare quei gruppi politici che non rientrano nell'alveo istituzionale.
Il circolo Fuoriluogo ha avuto il privilegio di fungere da laboratorio sperimentale per l'affinamento della strategia della demolizione che, adesso possiamo dire, consta di tre fasi:
Il torchio, ovvero l'adozione di misure cautelari – in assenza di giudizio – tipo foglio di via, che limitano la libertà degli attivisti mettendoli fortemente sotto pressione. Queste misure sono assegnate sulla base di reati gravissimi tipo attacchinaggio abusivo, imbrattamento, manifestazione non autorizzata. A questo si associa un comportamento provocatorio della polizia finalizzato all'allargamento dei capi d'accusa (vilipendio, resistenza a pubblico ufficiale…)
Il pestaggio mediatico, ovvero la formulazione di accuse infamanti – come associazione a delinquere con finalità terroristiche – che creano grande attenzione sulla stampa e fanno terra bruciata attorno ai soggetti bersaglio
L'oblio. Dopo anni si giunge al processo e i pericolosi gruppi terroristici si dimostrano per quello che sono: persone che hanno fatto informazione in merito a temi come immigrazione lavoro e diritti sociali e hanno organizzato contestazioni e proteste sostanzialmente pacifiche. Tutto si sgonfia e decade. Ma badate bene, il risultato comunque è raggiunto: i circoli sono disciolti e gli attivisti dispersi, passati nel tritacarne che non tollera le voci fuori dal coro.
Questa, secondo noi, è la macchina che è stata messa in moto contro i militanti notav attualmente in carcere.
Per raggiungere questi grandiosi risultati sono impiegati decine di agenti per controlli, pedinamenti, collocazione di microspie, centinaia di pagine di resoconto delle indagini, magistrati, avvocati. Un immane, gigantesco spreco di denaro pubblico…e la riduzione al lastrico degli inquisiti.
Con sconforto assistiamo in questi giorni all'avvio del tritacarne contro i ragazzi del CUA, che conosciamo come impegnati e attenti ai valori dell'ecologia e della solidarietà, i quali si ritrovano nella fase "torchio" avanzata con misure pesantissime inflitte, come il divieto di dimora. Ed è recentissima la notizia che anche i nostri amici di Labas hanno subito a Parma, durante una sacrosanta contestazione della politica dell' EFSA sugli ogm, le "attenzioni" delle forze dell'ordine provocatorie e violente.
Un nuovo autoritarismo sta avanzando.
Riteniamo che la società civile di questo territorio debba esprimersi con urgenza per dire basta alla persecuzioni giudiziarie e poliziesche degli attivisti politici.
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«Cooperativa» è una parola che non significa più un cazzo?
pensierini sulle coop
doveva essere il 1978 e tutti quanti, venti persone e più, mangiavamo a casa della zia all'aperto, sotto la grande quercia. Le famiglie operaie, come la mia, andavano in campagna dai parenti il sabato e la domenica a lavorare. A cavare le barbabietole a mano. Tornavano per un pasto gratis, per una cassetta di frutta e verdura, un po' di uova e per chiaccherare e scherzare nella casa della grande famiglia originaria. Erano gli ultimi battiti di una storia che era stata molto lunga: la civiltà contadina stava per finire, la mezzadria contava pochi anni ancora ed era come se gli operai si raccogliessero intorno a un capezzale. Un decennio e quelle relazioni si sarebbero completamente disintegrate.
Io e i miei cugini giravamo alla larga dai grandi. Armati di lance e archi percorrevamo i fossi invisibili come veri indiani. Appena ti scorgevano ti obbligavano a lavorare con loro, falcetto in mano, a decollare le barbabietole. I romagnoli di una volta non erano teneri con i bambini (famosa l'usanza barbara di fasciare i neonati e abbandonarli nella culla durante le ore di lavoro nei campi).
In una di quelle domeniche assolate mi ricordo chiaramente un lontano parente proveniente dalle zone di Ravenna. Per noi montanari parlava con un accento assolutamente esotico: "me a so dla CMC, cooperativa cementisti e muratori!" declamava con orgoglio e la dose di spacconaggine tipica.
Pur essendo piccolo questa cosa mi colpì e la ricordo ancora chiaramente. Doveva esserci qualcosa di veramente importante, pensai, dietro quelle parole pronunciate in un'altra lingua (l'italiano). Cooperativa Cementisti e Muratori. Anni più tardi, diventato – diciamo – comunista, mi convinsi che c'era sicuramente qualcosa di molto importante: innanzi tutto l'orgoglio di fare a meno del "padrone", perchè non c'era più il padrone, ma tanti soci uguali tra loro (all'incirca). Poi, così come i lavoratori delle fabbriche, anche gli artigiani dimostravano di sapersi unire: non più tanti piccoli, divisi, insignificanti a farsi la guerra l'un l'altro. E poi la consapevolezza di iniziare una nuova storia, un nuovo modo di fare economia, nelle intenzioni più giusto, migliore….
Perchè si è dovuti passare dall'orgoglio alla vergogna?
Perchè quella speranza si è spenta?
Trovo che l'idea del tradimento non sia sufficente per spiegare un andamento cha ha investito il movimento cooperativo storico nella sua interezza.
Dato che mi è capitato di aver a che fare con le cooperative in diverse situazioni volevo condivedere alcuni ricordi e provare a rispondere, magari anche con il contributo di altri, alla domanda del titolo.
– fine pensierino n 1 –
carlo
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Ottenere la maternità da bracciante agricola è facile… se sai come fare!
Io invece non lo sapevo e facile non lo è stato per niente. La bella notizia è che il contratto da bracciante offre una tutela che non immaginavo, visto che basta aver versato almeno 50 giornate l'anno precedente a quello in cui si rimane incinta per poter beneficiare di un'indennità che copre tutti i mesi della gravidanza- dal momento in cui si fa domanda- fino al 7°mese dopo il parto. Però per destreggiarsi nel labirinto della burocrazia ecco qualche suggerimento se scopri di essere incinta:
1. Se lavori in un'azienda agricola e svolgi mansioni considerate incompatibili con la gravidanza (movimentazione carichi superiori a 5 kg, esposizione a temperature sfavorevoli, mantenimento prolungato della posizione eretta..) e non è possibile cambiare le tue mansioni NON PUOI CONTINUARE A LAVORARE. In teoria appena viene certificato lo stato di gravidanza si dovrebbe interrompere l'attività in azienda.
2. La prima cosa da fare è compilare la domanda per l'allontanamento della lavoratrice dipendente addetta a lavori vietati. In questo modulo si può fare richiesta per un prolungamento della maternità di 4 mesi dopo il termine della maternità obbligatoria (fino al compimento del 7° mese del figlio), l'accettazione di tale richiesta è a discrezione dell'ufficio dell'Ispettorato del Lavoro. La domanda deve essere compilata dal datore di lavoro e inviata via fax alla Direzione Territoriale del Lavoro di Bologna (Viale Masini 12, tel. 0516079111) insieme al certificato di gravidanza , alla fotocopia di un documento del datore di lavoro e all'ultimo documento di valutazione dei rischi dell'azienda. Nel nostro caso è stato accettato un documento di autovalutazione dei rischi, potete contattare l'associazione di categoria di cui è socia l'azienda per cui lavorate per saperne di più.
3. Dopo qualche tempo, una settimana circa, riceverete una lettera dalla direzione provinciale che vi avvertirà che la vostra domanda è stata accettata. A questo punto dovrete recarvi alla sede INPS di pertinenza (la pratica non passerà direttamente dalla Direzione Territoriale all'INPS, anche se nessuno vi avvertirà dovrete essere voi a fare da tramite!) dove vi verrà consegnato un altro modulo che dovrà compilare il vostro datore di lavoro. Si tratta dello stesso modulo usato per chiedere l'indennità di malattia, in cui dovrete segnare la paga lorda giornaliera di ogni giorno lavorato l'ultimo mese, copiando i dati dalla busta paga. Nel caso abbiate smesso di lavorare prima della fine del mese è possibile usare i dati del mese precedente o dell'ultimo mese significativo. Questo è un passaggio molto importante perchè l'indennità che vi verrà corrisposta per tutta la durata della maternità è pari all'80% della mensilità segnata in questo modulo. Non ha senso ma è così, non conviene rimanere incinta in inverno, molto meglio aspettare maggio-giugno ..
Anche questo modulo andrà spedito via fax, questa volta all'ufficio INPS che segue la vostra pratica. Dopo qualche tempo dovrebbe essere disposto un pagamento a vostro favore , nel mio caso sono passati circa 10 giorni.
4. Al 7° mese mi avevano detto di inviare la domanda per la maternità obbligatoria all'INPS. L'invio può essere fatto solo online, quindi si deve richiedere prima il codice PIN (una parte del PIN viene inviato per posta quindi richiede qualche giorno). In realtà presso l'ufficio INPS di Casalecchio le pratiche procedono senza questa ulteriore richiesta, che anzi finisce per creare confusione. Quindi informatevi prima presso l'ufficio INPS di competenza e, nel caso in cui si tratti di Casalecchio chiedete di parlare con Bortolini.
5. Dopo il parto si dovrà comunicare all'INPS il codice fiscale del/la proprio/a figlio/a. Il codice fiscale che viene assegnato al centro CUP dell'ASL deve essere attivato dall'Agenzia delle Dogane, questo avviene automaticamente e arriva la tessera sanitaria a casa ma i tempi sono un po' lunghi quindi conviene recarsi presso l'Agenzia delle Entrate portando con sé il certificato di nascita del/la figlio/a.
6. È possibile fare domanda anche per un'integrazione all'indennità alla CIMAAV (Cassa per l'Integrazione-Malattie ed Assistenze Agricole Varie). Si può presentare domanda dopo il parto direttamente o attraverso i CAF.
AUGURI!
Per dubbi e altri suggerimenti scrivetemi : giuliamenarbin@libero.it -
Noi tifiamo facchini
Una megazienda dell'agroalimentare, i subappalti per la movimentazione delle merci, una lotta dura per la difesa del salario, la repressione che si scatena…
Da una parte la "sinistra" e la lega delle cooperative, dall'altra lavoratori immigrati che osano contestare la decurtazione del proprio salario. Nel trambusto qualcuno arriva a dire che "cooperativa è una parola che non significa più un cazzo." (bisognerà riflettere bene su questa affermazione). Ebbene, noi in questa faccenda non abbiamo dubbi: forza facchini! Boicotta Granarolo!
*** Incolliamo di seguito la lettera dei facchini in lotta.
Lettera alla città di Bologna dai facchini in lotta contro Granarolo Siamo i facchini, gli studenti, i precari, i centri sociali, che da 9 mesi lottano uniti, insieme al sindacato di base S.I.Cobas, per affermare la dignità degli ultimi.
La nostra protesta è iniziata quando una parte di noi ha subito un grave sopruso.
Puniti e licenziati per aver scioperato contro provvedimenti illegittimi che ledevano la nostra dignità di lavoratori.
Per anni abbiamo lavorato spezzandoci la schiena nei magazzini della logistica di multinazionali che come Ctl/Granarolo e Cogefrin realizzano profitti milionari.
Le grandi aziende appaltano una parte fondamentale del lavoro a cooperative che in concorrenza tra loro promettono il prezzo più basso alla committente.
Tutto ciò è possibile grazie al fatto che noi, i “ soci cooperatori” siamo trattati come schiavi nei magazzini lontani dal centro cittadino, nelle periferie buie dove il nostro turno di lavoro inizia al tramonto e finisce quando il sole tiepido inizia a scaldare la città.
Lavoriamo nelle celle frigorifere e nei magazzini polverosi e bui. Spostiamo bancali di merci nei piazzali d'asfalto dove file di camion ci attendono per essere caricate. I ritmi con cui lo facciamo vngono cronometrati e debbono essere sempre più veloci, poco importa che lo si faccia durante il caldo torrido dell'estate, o nel gelo invernale.
La maggior parte di noi è arrivata in questo paese lasciando la propria terra e i propri affetti in cerca di un futuro migliore. Nel nostro viaggio pochi di noi hanno avuto la fortuna di arrivare con tutti quelli con cui erano partiti.
Molti dei nostri compagni non ce l'hanno fatta. Inghiottiti da un mare che non ricorderà nemmeno i loro nomi. Lasciati a marcire in carceri come quelle libiche dove ogni diritto umano è sospeso. Dimenticati nei “centri di accoglienza”italiani dove nudi nei piazzali venivamo ripuliti con gli idranti come la storia ci ricorda facevano i nazisti nei campi di concentramento.
Molti di noi alle spalle hanno storie terribili come queste.
Ma ora siamo qui con un permesso di soggiorno che ci dice che finché lavoriamo possiamo restare.
Ma a quali condizioni?
Può il lavoro sacrificare la nostra dignità? E' giusto chiederci di tenere la testa abbassata mentre il capo ci urla e ci offende in continuazione? E' democratico un sistema di lavoro che ci impone turni massacranti, straordinari mai pagati, buste paga irregolari, tagli del salario del 35 %?
Granarolo afferma di non avere nulla a che fare con noi. Loro bianchi e candidi come il latte noi, sporchi e scuri com la fame e la miseria.
Loro dicono che non siamo loro dipendenti , ma noi per anni abbiamo lavorato nei loro magazzini, eseguendo i comandi dei loro capi, caricando e scaricando i loro prodotti . Loro dicono che davanti ai cancelli quando scioperiamo non riconoscono le nostre facce. Ci crediamo perché nemmeno noi abbiamo mai visto le loro nei magazzini.
Ma davvero non c'è una responsabilità di chi appalta il lavoro? Davvero è sufficiente girarsi dall'altra parte e fingere di non sapere?
Ci dicono che la Granarolo continua ad investire nel mercato. Leggiamo sui giornali che il suo fatturato lo scorso anno ha sfiorato i 1oo milioni e che si conferma in crescita.
E allora perché il suo presidente ha permesso che una cooperativa a cui aveva affidato il lavoro del facchinaggio ci tagliasse le buste paga per “stato di crisi”, mentre peraltro si continuavano a fare straordinari?
Perchè dopo mesi la nostra dignità deve essere ancora offesa dall'arroganza di un padrone che ha tutto e che per sbeffeggiarci sceglie di comprare le pagine di tutti i giornali per offenderci ancora una volta?
Noi non possiamo comprare l'informazione e nemmeno crediamo sia giusto poterlo fare.
Abbiamo questa nostra storia da raccontare. La raccontiamo da 9 mesi, davanti ai cancelli di chi per tanto tempo ci ha sfruttato, nelle piazze e nelle vie della città. L'abbiamo raccontata a voce alta mentre la celere ci prendeva a cazzotti, ci spruzzava per ore dei gas velenosi in faccia, e ci trascinava via due nostri colleghi per arrestarli. Non abbiamo amicizie tra tutti coloro che comandano la città. Abbiamo la nostra voce, abbiamo i nostri corpi, abbiamo la solidarietà di chi è sempre stato al nostro fianco. Abbiamo la forza della nostra dignità e della nostra lotta. Bologna, schierati con noi! -
Petizione per un mercato di CampiAperti in Piazza Verdi
Sono passati 12 anni da quando un primo nucleo di produttori e co-produttori – che si sarebbe poi trasformato nell'associazione CampiAperti – ha dato vita al primo mercato settimanale a Bologna. A questo se ne sono aggiunti altri, che hanno portato alla trasformazione di spazi marginali in luoghi di incontro, di socialità, di scambio di conoscenze. Da allora molte relazioni in città sono cresciute, sempre di più il concetto di Sovranità alimentare ha acquisito senso nella consapevolezza di molti.
In questi anni abbiamo fondato il nostro agire su pochi ma precisi assi portanti, come prevede il nostro statuto:
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sostenere l’agricoltura contadina biologica e biodinamica per salvaguardare il territorio dall'invasione dell’agroindustria. (ciò ha portato a risultati interessanti anche in termini di occupazione stabile femminile e giovanile) ed il rispetto delle condizioni di lavoro,
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promuovere e garantire un'equa remunerazione del lavoro e prezzi equi e trasparenti per l’acquirente
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diffondere il consumo critico degli alimenti
pochi ma importanti principi attuati con pratiche condivise :
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partecipazione democratica, per cui l’assemblea generale è l’organo principale di autogestione,
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l’autocertificazione ed il controllo diretto da parte dei soci (sistema di garanzia partecipata) quale strumento per garantire la qualità biologica delle produzioni delle piccole realtà contadine,
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la vendita diretta solo di prodotti derivanti dalla lavorazione della propria terra,
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la costruzioni di reti di condivisione-collaborazione nazionali e internazionali ma anche la realizzazione di interventi pubblici educativi, sociali e culturali.
In questo cammino abbiamo coinvolto diversi altri attori sociali con cui pratichiamo obiettivi comuni come gruppi di acquisto solidale, il commercio equo-solidale, collettivi di studenti ed il CRESER- coordinamento emiliano romagnolo per l’economia solidale, che sta sostenendo un progetto di Legge in Regione Emilia Romagna sulla economia solidale, di cui siamo tra i promotori.
Alla luce di questo percorso, dopo aver acquisito e consolidato le esperienze del mercati presso l’XM24 in via Fioravanti, in via Udine presso la scuola di Pace e in via Paolo Fabbri, i cui esiti sono sotto gli occhi di tutti, pensiamo sia venuto il momento di avviare un'esperienza nel cuore della città, ed in specifico in Piazza Verdi.
Perché Piazza Verdi? Perché Piazza Verdi è il luogo di Bologna che più di ogni altro
è attraversato da soggetti e tensioni culturali che, direttamente o indirettamente, ci riguardano.
Siamo così a richiedere la disponibilità dell’amministrazione ad avviare il percorso per pervenire alla realizzazione di un mercato in Piazza Verdi incardinato sui principi descritti in modo molto sintetico, principi che ci impegniamo a sostenere e promuovere.
Se anche tu vuoi sostenere CampiAperti in questa domanda alle istituzioni firma la petizione
chiedi informazioni ai mercati al banchetto informativo o ai produttori.
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COMUNICATO A SOSTEGNO DELL’EX COLORIFICIO DI PISA
Abbiamo partecipato alla tre giorni di Pisa e conosciuto l'ex Colorificio Liberato
http://www.inventati.org/
rebeldia/movimenti/common- properties-programma.html abbiamo avuto occasione di conoscere, incontrare, rivedere persone e realtà, abbiamo visto coi nostri occhi uno spazio attraversato, condiviso, vissuto con cura, intensità e lavoro: la palestra, la radio, il mercato contadino, la biblioteca, la parete d'arrampicata, i laboratori di falegnameria, fabbro e riciclo, tra le altre cose, attivati in neanche un anno di (nuova) vita.
Abbiamo sentito parlare dei nostri diritti, quelli di tutti, difesi dalla costituzione, che mettono in primo piano il bene comune rispetto alla proprietà privata, una cosa che nelle nostre vite, spesso precarie, sentiamo sempre più impellente: nel vuoto che ci circonda esperienze come quella dell'ex Colorificio Liberato, insieme alle realtà presenti nei giorni di Commons Properties, riempiono con utopie concrete e nuove relazioni gli spazi lasciati vuoti dall'economia che cade a pezzi e sempre più esposti alle speculazioni sulla pelle dei cittadini.
La lotta per gli spazi in città è la stessa dei contadini che rivendicano il diritto a stare sulla terra, per produrre e scambiare secondo metodi contadini, una lotta che non è altro dall'esprimere il diritto di esistere, come contadini, cittadini, comunità locali rispetto alle logiche della proprietà e del neoliberismo che stanno rivelando sempre più il nulla di cui sono fatti, complice la frana dell'illusione individualista e consumista.
Sosteniamo l'ex Colorificio Liberato
Genuino Clandestino, Comunità in lotta per l'autodeterminazione alimentare
Campagna Terra Bene Comune