Immaginiamo che una assistenza “agroecologica” coerente con lo sviluppo delle Reti Alimentari Contadine debba avere queste basi:
– sistemiche: “i sistemi sociali e biologici hanno un alto valore agricolo”. L’agroecologo quindi deve occuparsi di assistere non solo lo sviluppo agronomico ed economico ma ancor più lo sviluppo sociale ed ecologico di un’azienda agricola, e le competenze così vaste possono essere integrate in equipe di lavoro, formate da agronomi, sociologi, biologi, geografi, pedologi, geologi, economisti, informatici e pratici.
– di rete, ovvero deve facilitare le relazioni e il passaggio di informazioni (formali e informali) da tutti gli stakeholders (produttori, ricercatori, coproduttori, amministratori), in modo orizzontale, al fine di portare ad uno sviluppo culturale oltre alla risoluzione dei problemi.
– results-based (basata sui risultati): significa che la qualità dell’azienda viene misurata su parametri agroecologici misurabili per arrivare ai quali il consulente facilita il percorso. Non quindi tecnici che compilano carte sulla base di disciplinari di produzione standardizzanti.
– territoriale: in agroecologia l’unità funzionale minima è il fondo agricolo e non il campo, visto all’interno di un sistema agricolo, ecologico e paesaggistico territoriale. Gli itinerari tecnici sono sviluppati non per coltura su una scala regionale, ma per sistemi agricoli locali, in cui le caratteristiche ecologiche e sociali sono fondamentali, e non parametri opzionali.
Queste caratteristiche sono la nostra visione. Troviamo parti di questa visione leggendo ed interpretando alcuni concetti che troviamo espressi in diversi documenti ufficiali dell’Unione Europea, come l’AKIS (Agriculture Knowledge Innovation System), il Multi-Actor Approach, i Living Labs, gli eco-schemes, ma vorremmo che le istituzioni venissero a confrontarsi di persona con le reti contadine della loro interpretazione e di come questi concetti si possano realizzare concretamente.
A Bologna, nel quartiere di Borgo Panigale-Reno, si è costituita nel 2013 Arvaia Società Cooperativa Agricola , una delle prime CSA italiane. Attualmente Arvaia conta 10 lavoratori dipendenti e 493 soci e distribuisce ogni settimana 200 parti del raccolto ai soci fruitori che partecipano economicamente a sostenere il bilancio annuale. Questa CSA dal 2015 ha in concessione onerosa 47 ettari di proprietà del Comune di Bologna, a seguito della aggiudicazione per bando pubblico che prevede un affitto annuo di 605 euro ad ettaro per le parti destinate a coltivazione agricola. Potete leggere le misure che rivendichiamo per le CSA su https://www.campiaperti.org/progetto-per-la-sovranita-alimentare/
La crisi ambientale, la consapevolezza dell’importanza delle scelte alimentari per la salute, l’esigenza di garantire la dignità del lavoro e di favorire l’occupazione: sono tutte tematiche che mettono l’agricoltura al centro di un dibattito nel quale sentiamo fortemente l’esigenza di intervenire. Non è più il momento di demandare questo tema alle scelte individuali in tema di consumo alimentare, né a quello delle scelte imprenditoriali, ma è il momento di impegnarci ad elaborare scelte collettive su queste tematiche, e quindi di elaborare, praticare e pretendere politiche agricole che vadano a vantaggio della collettività e non di interessi particolari.
Anche in Italia, come nel resto dell’Europa, e del mondo, possiamo individuare più filiere di produzione e distribuzione del cibo: da una parte le reti alimentari contadine locali, che comprendono la filiera cortissima dell’autoconsumo e il vastissimo panorama di piccole e medie aziende che spesso vendono direttamente le proprie produzioni in azienda, nei mercati, nei gruppi d’acquisto, nei circuiti dei negozi di prossimità e nella ristorazione; dall’altra le filiere industriali, caratterizzate dalla monocoltura, dall’utilizzo spinto della chimica e da forti input energetici nella produzione, dall’accentramento del potere di acquisto e distribuzione in pochissime mani, dal commercio globale del cibo, e da una spinta trasformazione industriale dei prodotti alimentari.
Se spesso viene messo l’accento sulla necessità di sostenere le filiere industriali in quanto capaci di produrre cibo a basso costo, questo lo si fa tralasciando di contabilizzare i costi esternalizzati legati ai danni ambientali prodotti da pesticidi e fertilizzanti sintetici (contaminazione delle falde acquifere e inquinamento atmosferico), dalla perdita di agrobiodiversità, dall’eliminazione degli elementi naturali nelle campagne, dallo spreco di plastiche negli imballaggi, con il relativo inquinamento; lo si fa non contabilizzando i danni alla salute provocati dai pesticidi con le intossicazioni acute e le malattie croniche che provocano, con i danni dell’esposizione prenatale, dalla malnutrizione dovuta al consumo di prodotti eccessivamente ricchi di sale, zucchero, grassi saturi; lo si fa ignorando lo spreco di risorse, i costi dello smaltimento dei rifiuti, la perdita di suolo fertile. Lo si fa ignorando le riduzioni di costo ottenute attraverso le distorsioni dovute al controllo monopolistico, che impone ai produttori prezzi inferiori ai costi di produzione, che promuove lo sfruttamento dei braccianti e degli altri lavoratori della filiera, che provoca enormi squilibri sociali e fame nei paesi del sud del mondo, e infine ignorando la massa di sussidi che la collettività stessa riconosce agli attori di questa filiera.
Al contrario le reti alimentari contadine sono in grado di produrre alimenti nutrienti in equilibrio con l’ambiente e le risorse e possono garantire, quando opportunamente sostenute dalla collettività, un lavoro dignitoso nelle varie fasi della produzione e distribuzione.
Nonostante questo le realtà agricole e le filiere contadine presenti nei nostri territori non vengono messe al centro dello sviluppo delle politiche agricole, e questo avviene anche tralasciando di rilevare la presenza di un tessuto agricolo che tutt’ora vede nell’agricoltura di piccola scala una presenza tutt’altro che irrilevante. La stessa carenza di dati circa le filiere locali e l’agricoltura finalizzata al commercio di prossimità evidenzia una carenza di attenzione. Oltre al cibo prodotto e consumato localmente proveniente dalle piccole e medie aziende e commercializzato tramite mercati, gruppi d’acquisto, esperienze di community-supported agriculture, spacci aziendali, esercizi di prossimità, la filiera locale si arricchisce anche del cibo che non viene commercializzato ma viene destinato all’autoconsumo da parte delle famiglie (orti urbani e rurali, piccoli allevamenti), così come di ciò che proviene dalla raccolta di piante spontanee in terreni coltivati o in natura. In particolare queste ultime filiere, non essendo commerciali, vengono completamente ignorate nonostante svolgano appieno il compito di nutrire le persone in modo sostenibile con cibo di qualità. Nei nostri territori inoltre, anche nelle aziende di maggiori dimensioni, che praticano una agricoltura e partecipano ad una filiera di tipo industriale sopravvivono spesso in parallelo anche le piccole produzioni destinate al commercio locale in varie forme così come all’autoconsumo.
Dall’altro lato, molte filiere industriali non hanno lo scopo di nutrire i cittadini (semmai è quello di produrre profitti), e tantomeno coloro che risiedono nel nostro territorio. È sufficiente pensare a quanto prodotto agricolo viene destinato esclusivamente o principalmente all’esportazione (spesso con l’etichetta “Made in Italy”) e allo stesso modo a quanto cibo industriale, talvolta realizzato con materie prime che provengono da fuori regione o dall’estero, con il paradosso che filiere che appaiono “emiliano-romagnole” (magari “tipiche” o “di qualità”) hanno in regione solo la fase di trasformazione industriale, mentre sono approvvigionate da produttori non locali e hanno acquirenti non locali. L’unico beneficio che queste produzioni portano sul territorio è relativo a qualche posto di lavoro e al profitto economico, che però è concentrato nelle mani di pochi, mentre ben più rilevanti appaiono i costi in termini di inquinamento, sprechi e concorrenza sleale verso le reti contadine locali.
Una narrazione dell’agricoltura emiliano-romagnola che metta al centro il rilievo di ciò che oggi nutre in modo salutare la popolazione nelle nostre aree, di quella miriade di esperienze che salvaguardano i territori sia nelle aree collinari e montane più fragili, che nelle zone di pianura, di quell’agricoltura che minimizza lo spreco, che utilizza in modo razionale le risorse, che riduce gli imballaggi e i trasporti a lunga distanza, porterebbe un riconoscimento necessario a rivendicare un ruolo che per il futuro deve diventare sempre più ampio.
È arrivato il momento che le politiche agricole inizino a sostenere ciò che porta un vantaggio alla collettività, che la popolazione sia messa in condizione di fare delle scelte per l’ambiente, la salute e l’equità sociale, che sia promosso l’accesso al cibo che nutre e che si educhi a riconoscere il cibo che ammala. Che agricoltori e cittadini siano messi in condizione di scegliere realmente, e che si riconosca che sono le scelte politiche a definire i costi reali dei diversi modelli produttivi.
Siamo consapevoli del fatto che attualmente anche le filiere industriali, sostenute in primo luogo dalla GDO, rivendicano esse stesse un ruolo nella salvaguardia ambientale, attraverso le filiere industriali del biologico, nel sostegno all’equità sociale e alla salvaguardia della salute attraverso le certificazioni, i marchi “etici”, i marchi “di qualità” e quant’altro. Così come rivendicano un ruolo nel “km 0” inserendo produttori locali negli scaffali dei supermercati. In realtà la scelta offerta nello scaffale di un supermercato è solo apparente, in quanto scelta fondata sul prodotto e non su una reale condivisione dell’insieme dei processi produttivi che sono alla base delle filiere sostenute. Lo stesso concetto di “qualità” assume significati completamente diversi dentro la filiera industriale rispetto alle varie e diversificate filiere contadine. La qualità che promuoviamo nelle filiere contadine non ha a che vedere con l’uniformità e la stabilità di un prodotto, ma con il riconoscimento di un comune impegno da parte di produttori e consumatori verso la costruzione di un rapporto corretto con l’ambiente e le risorse, del rispetto dei territori, di un comune sforzo a contenere i cambiamenti climatici, di una comune aspirazione ad un mondo più equo. Tutto ciò è relativo alle relazioni che sono alla base dello scambio di un prodotto più che al prodotto stesso, al riconoscimento di una complementarietà, di una interdipendenza tra i vari soggetti della collettività.
All’interno delle filiere industriali il potere si concentra nelle poche mani di chi possiede gli ingenti capitali necessari alla lavorazione e alla logistica, ai trasporti al lunga distanza che tale sistema impone. Sono queste poche mani che scelgono, e le scelte sono necessariamente fondate sulla massimizzazione dei profitti. È solo in questi termini che il “prodotto etico”, il “prodotto sano” entra nel gioco, in quanto capace di esercitare un potere attrattivo verso alcune categorie di acquirenti. È così che il prodotto “buono” partecipa esso stesso al successo del sistema che crea le condizioni delle crisi ambientali e sociali legate al settore agricolo. A rendere ancora più potenti i giganti del sistema alimentare della filiera industriale c’è il fatto che questi sono in grado di incidere sia in sede WTO influenzando i trattati commerciali che in altre sedi quali la banca mondiale e le sedi diplomatiche. Questo li rende in grado di “creare le regole del gioco”, non di doverle seguire.
Pensiamo al contrario che solo le filiere contadine, non creando accentramenti di potere ed essendo costituite da una miriade di soggetti che si relazionano in modo paritario, abbiano le potenzialità per creare l’agricoltura del futuro, un’agricoltura al servizio dei bisogni collettivi.
In questo nostro percorso prendiamo fortemente le distanze da chi inserisce la salvaguardia dei sistemi agricoli locali e contadini in un contesto di nostalgie patriarcali, di xenofobia, e di nazionalismo fascista.
I Sistemi di Garanzia Partecipata sono pratiche complesse, nate in seno al movimento della Sovranità Alimentare in diverse parti del mondo, attraverso le quali le comunità territoriali che costruiscono le Reti Alimentari Contadine auto-controllano il rispetto delle regole collettive che le comunità stesse si sono date. In Emilia Romagna esistono diverse esperienze di SGP tra le più datate in Italia, tra queste quella di Campi Aperti vede quasi due decenni di pratica e progressivo perfezionamento. I Sistemi di Garanzia Partecipata, se condotti con scrupolo, offrono standard di garanzia decisamente superiori rispetto ai sistemi di certificazione vigenti. Infine i Sistemi di Garanzia Partecipata vanno altre la garanzia dei metodi di produzione interessando, ad esempio, regole sul rispetto dei lavoratori dipendenti nelle aziende agricole. Leggi e commenta il capitolo B del progetto per la sovranità alimentare.
Le leggi danno la forma al mondo: abbiamo bisogno di norme nuove, che promuovano l’agricoltura contadina di prossimità, per la salvaguardia delle risorse naturali e come base per la costruzione di sistemi di relazione sociale basati sulla cooperazione e non sulla competizione. Ma soprattutto abbiamo bisogno di una riforma radicale della Politica Agricola Comunitaria.
I mercati di vendita diretta sono la principale forza per la sopravvivenza delle aziende agroecologiche di prossimità e la principale possibilità per i cittadini di acquistare prodotti freschi, sani e sostenibili, in un contesto di conoscenza e rispetto reciproco. Per tutelare l’ambiente, la salute, le acque, l’occupazione occorre moltiplicare il numero di aziende agroecologiche e di conseguenza occorre moltiplicare il numero di mercati contadini nelle città. Per raggiungere questo obiettivo occorrono politiche pubbliche consapevoli e coerenti. “Progetto per la Sovranità Alimentare“
Per iniziare ad affrontare seriamente molti grandi problemi di carattere sociale e ambientale, dai cambiamenti climatici all’inquinamento delle falde, dall’impoverimento dei territori allo sfruttamento dei lavoratori, dobbiamo diffondere il modello delle Reti Alimentari Contadine – contro lo strapotere delle Catene dell’agricoltura industriale. Leggete e commentate il nostro “progetto per la sovranità alimentare” https://www.campiaperti.org/progetto-…
Primo video di presentazione del “progetto per la sovranità alimentare” tutti i documenti su https://www.campiaperti.org/progetto-per-la-sovranita-alimentare/
Campi Aperti condanna senza se e senza ma l’atto intimidatorio ai danni della drogheria 57 di via Pietralata.
Piena solidarietà per Rita incredibile donna che ha sempre sostenuto la nostra comunità, anche grazie al suo lavoro e al suo inesauribile impegno sociale e politico.
Nottetempo un individuo, con una svastica tatuata sul petto, ha compiuto un atto vandalico contro la bottega della Rita, imbrattando anche il cartello “chiuso per lutto” che era affisso sulla serranda. “La vivo come una minaccia”, dice Rita, “è giunto il tempo di far sentire che c’è una sensibilità e una presenza antifascista sul territorio”.
Il Pratello è sicuramente uno dei quartieri più antifascisti di Bologna, la Rita
e il suo negozio di vicinato, la “Drogheria 53” di via Pietralata, è da
anni un punto di riferimento per la festa popolare del 25 aprile. I
ragazzi del Pratello hanno realizzato anche una maglietta con la scritta
“Brigata Rita”, elogiando e riconoscendo il suo impegno sociale contro
il razzismo, il fascismo e ogni forma di discriminazione, apprezzando le
sue battaglie ambientali condotte in città e in quartiere.
La “Drogheria 53” in questi giorni è chiusa, Rita è stata colpita da
un grave lutto familiare, sulla serranda era affisso un cartello di
“chiuso per lutto”.
Due notti fa, verso l’una e trenta, un individuo sui venticinque /
trent’anni, con tatuata una svastica sul petto (tenuta ben in vista), ha
tentato di deturpare, con una bomboletta di vernice nera, la serranda
del negozio, tra l’altro imbrattando a sfregio il cartello “chiuso per
lutto”.
La serranda della bottega è decorata da un graffito che simboleggia
il sostegno a Xm24, una esperienza di autogestione dal basso che Rita ha
sostenuto e frequentato. L’atto vandalico era rivolto soprattutto a
questo disegno decorativo.
Il gestore della vicina birreria, vedendo la scena, si è rivolto al
“verniciatore fascista” chiedendo cosa stesse facendo e ricevendo, come
risposta dal nazi, uno spruzzo di spray nero molto irritante.
A quel punto, l’esercente ha chiamato le forze dell’ordine. Il
ragazzotto ha cercato prima di scappare con la bicicletta con cui era
sopraggiunto, ma placcato e immobilizzato dal birraio, ha pensato bene
di chiamare il 118 dichiarando di essere stato ferito. Quando sono
arrivati i carabinieri il tipo ha fatto il carino con loro.
Alcuni writers presenti in birreria hanno detto che il fascistello
non c’entra niente con il loro mondo. Altre due persone, spettatrici
dell’episodio, hanno testimoniato che l’individuo responsabile dei danni
alla serranda si filmava con un telefonino e che, per l’atteggiamento,
per l’uso impacciato della bomboletta, per l’importanza che dava al
“documentare” il gesto che stava compiendo non sembrava un “tipico”
writer, ma era venuto lì apposta (tra l’altro in bicicletta) per
compiere quella bravata.
I carabinieri hanno verificato le testimonianze e hanno identificato l’autore della bravata e il birraio.
Sull’episodio abbiamo voluto sentire la Rita che, naturalmente, non
l’ha presa bene: “Spero che le budella gli si attorciglino attorno alla
gola… Quel vigliacco ha sfregiato anche il cartello ‘chiuso per lutto’…
E’ una forma ignobile di disprezzo nei confronti della mia persona e
della mia famiglia… Sono preoccupata e vivo questo atto come una
minaccia esplicita. Altre volte sono stata oggetto di danni addebitabili
a ‘mani fasciste’ e non ho mai utilizzato tribunali per rispondere.
Questa volta ho deciso di fare denuncia per non lasciare che anche
questa cosa vada in cavalleria… E vi assicuro che non mi fa piacere… I
carabinieri hanno identificato il fascista, il mio vicino ha fatto
denuncia per aggressione, io mi appresto a farla per atti vandalici e
danni aggravati. Voglio fare la querela perché è un po’ di tempo che
gruppetti di giovani nazistoidi girano sfregiando simboli, aggredendo
negozianti stranieri, sentendosi troppo a ‘loro agio’… Vorrei che il mio
esposto non fosse raccolto solo come scontro tra ‘opposte fazioni’,
credo che, anche con piccoli atti individuali, sia giunto il tempo di
far sentire che c’è una sensibilità e una presenza antifascista sul
territorio. Non è vero che tutte le vacche sono bigie, c’è chi prende
parte e dalla ‘nostra parte’ c’è bisogno di renderlo palese”.
mercoledì 1 luglio 2020 alle 18.30 online in diretta sul canale YouTube di Camilla a questo link > https://youtu.be/xje1kywNF-A
MAG6 è in rete da tempo con tanti
percorsi di cambiamento sociale e autogestione, tra cui Camilla e Campi
Aperti, e tanto resta ancora da fare sul campo!
In questo periodo
di difficoltà per molte piccole realtà il bisogno è raccogliere nuovo
capitale sufficiente a rispondere alle richieste di aiuto pervenute,
misurandosi con l’approccio della sostenibilità condivisa creata dalle
entrate di tante piccole liberalità continuative da parte dei soci, così
da non vincolare l’accesso ai nostri strumenti per l’autogestione
(finanza, consulenza e formazione, strumenti di mutualità) unicamente a
coloro che possono pagare la copertura del relativo costo.
Si supera il modello della “bancabilità” per passare a quello della
fiducia e della garanzia condivisa. Per farlo è necessario il sostegno
di nuovi soci e di incrementare il capitale in MAG6.
Conosciamo MAG6 e le sue attività con alcune domande e risposte
dirette e concrete. Camilla e Campi Aperti vi invitano ad ascoltare le
risposte di Luca ed Enrico di MAG6.
Sotto la lettera di richiesta supporto che abbiamo ricevuto da Luca ed Enrico di mag6:
Ciao a tutte/i,
da
tanti anni siamo compagni di viaggio di reti ed esperienze di
cambiamento sociale: Creser, Campi Aperti, Camilla, Wwoof, solo per
citare i primi nomi che ci vengono in mente di un elenco molto lungo. A
qualunque forma di autogestione dei diversi ambiti della vita che
abbiamo incontrato in questi 30 anni, abbiamo cercato di offrire
strumenti per realizzare i propri progetti, condividendo soddisfazioni,
fatiche, sogni.
Come
Mag6 da tempo abbiamo intrapreso un cammino di cambiamento rispetto al
modello di sostenibilità economica della nostra cooperativa, per
staccarci dall’idea che per sostenersi occorra basarsi inesorabilmente
sui ricavi prodotti dalle “vendite” delle nostre attività. Stiamo
cercando di andare nella direzione di una “sostenibilità condivisa”,
creata dalle entrate di tante piccole liberalità continuative da parte
dei soci, così da non vincolare l’accesso ai nostri strumenti per
l’autogestione (finanza, consulenza e formazione, strumenti di
mutualità) unicamente a coloro che possono pagare la copertura del
relativo costo.
Questo nostro percorso deve ora misurarsi con la situazione che si è creata a seguito della pandemia: diverse realtà finanziate da Mag6 ci hanno richiesto di poter sospendere momentaneamente i rientri dei prestiti loro concessi, contemporaneamente diverse realtà ci stanno chiedendo l’erogazione di nuovi prestiti per far partire/ripartire le loro attività. Come Mag 6 vogliamo accogliere positivamente i bisogni sia dei primi che dei secondi, ma per poterlo fare abbiamo bisogno di raccogliere capitale sufficiente per rispondere alle richieste di aiuto pervenute.
Non vogliamo lasciar sole queste realtà di cambiamento sociale proprio in un momento così delicato!
Davanti a questa situazione sentiamo di poter chiedere aiuto a chi riteniamo sia nostro compagn@ di viaggio, sia come organizzazioni che come singole persone:
** se sei interessato a diventare soci@ di Mag6 questo è il momento per farlo! ** se sei già soci@ ed hai la possibilità di incrementare il tuo capitale in Mag6,
ora è il momento in cui ne abbiamo più bisogno!
Pensiamo
che le situazioni di bisogno, una volta conosciute, si possano
superare, come già successo tante volte, grazie al coinvolgimento
concreto di ognun@, e che l’esito
di ciò che produrremo sarà la somma delle decisioni che le realtà
collettive o le singole persone, decideranno di compiere.
Ovvero: come continuare una storia d’infinita miseria.
Alla fine l’hanno fatto: transennare, chiudere un parco all’interno del progetto della cosiddetta “trilogia navile”.
L’angolo è quello tra via Gobetti e Fioravanti, a ridosso dello stabile che fu XM24 ed al cui interno sono nati i mercati biologici di Campiaperti. La storia è fin troppo nota: dopo 17 anni di gestione dello spazio il comune di Bologna non rinnova la convenzione, poi ad agosto scorso lo sgombero con la promessa di una diversa risoluzione entro il 16 novembre.
Promessa non mantenuta: Xm24 sta ancora aspettando.
A dicembre nuova occupazione dell’ex caserma Sani, rapidamente sgomberata.
Punto e a capo.
Poi il covid ha invaso le nostre vite rendendo silenziose le strade, i mercati biologici e più in generale di prossimità, resi impossibili da decisioni politiche gravi e opinabili che hanno colpito il lavoro di centinaia di piccole aziende agricole. Ma il virus non ha cancellato il desiderio d’incontrarsi, di capire e di reagire a quello che si profila come una vera e propria pandemia economica e dove i deboli saranno i più esposti e vessati. Non siamo tutti nella stessa barca.
E dalla prima riapertura quel rettangolo di verde è tornato ad essere XM24, un punto d’incontro e d’ascolto di una città altra che vive nel territorio e che chiede rispetto per la propria esperienza.
Un prato, al di là della formale appartenenza, è un bene comune che appartiene alla comunità e dall’intera comunità va goduto, transennarlo vuol dire privatizzarlo di fatto con un atto d’inaudita violenza e arroganza degna di nessuna causa. La terra dovrebbe essere di tutti, come i contadini sanno bene…
Un recinto, una normalità che chiude alle diversità. Tutto questo non ci appartiene.
mi sa che mi ero già espressa su change.org qui, però hoi.. di nuovo.
capisco eh che siamo alla disperazione per far sentire la nostra voce, senza scendere in piazza ed ammassarci sotto palazzo d’accursio, ma quelli di change.org sono una azienda americana che fa soldi sui vostri dati/gusti/interessi, etc.. ed è sensato NON dargli “autorevolezza”, secondo voi come li pagano 300 dipendenti?
Poi ho visto oggi che è possibile mandare proposte/lamentele al nuovo piano regolatore: di cui ho solo letto i titoli e partemalissimo.. nelle righe io ci leggo “città da svendere alle aziende”. Qua pare possibile fare controproposte: http://partecipa.comune.bologna.it/proposte-miglioramento-pug Se qualcuno ci crede che saranno rispettate le può fare lì. Magari su tutta sta campagna di varia gente, è più sensato indirizzarli lì? Ma vedo tra i firmatari c’è gente che è già in comune.. bho.. o non lo sanno o si propongono come intermediari degli intermediari??! non capisco.. mi sembra una mossa per usare la gente e l’emergenza.
A proposito.
Poi altra cosa, visto che ho letto quel documento. Proporre misure emergenziali per farle passare a Permanenti è una strategia pessima. Nel senso che avvalla un modus operandi malvagio.
Ci sono le misure di emergenza e ci sono le proposte per il benessere della vita quotidiana.
Le misure di emergenza devono SEMPRE essere abolite dopo l’emergenza proprio perchè straordinarie in situazione straordinaria, NON normale.
Proporre la pedonalizzazione e spazi di socialità è semplicemente una scelta politica, contraria alle scelte politiche precedenti, che hanno sbagliato. E va rivendicata come tale.
A voi cosa dice questo manifesto dello sgombero di XM24 e della sani?!** e di tutte le aggregazioni informali che vengono soffocate quotidianamente e della polizia che “vigila contro il bivacco” che significa anche semplicemente sedersi in terra? quando dalle firme che leggo mi sembrano molti che di spazi ne hanno già assegnati e sono preoccupati di averne di più per l’estate… per poi magari privatizzarseli, vedi il guasto, che ci stai solo con un cocktail in mano da 7 euro.
Questa la mia opinione. Poi mi va bene bene che la firmiamo pure noi. Però come Campi Aperti dovremmo trovare un modo per salvaguardare la socialità informale.
Insomma, tutti sono in crisi in questo periodo in cui molti hanno perso il lavoro o si sono trovati bloccati, come noi.
Però va trovata una via che sia per tutti, non solo per pochi.
Quindi Sì a piazze libere e strade aperte, senza tutori o associazioni garanti.
ciao Cristina
** e di un’altra decina di spazi autogestiti dal basso con il metodo del consenso?!
La pandemia ha cambiato radicalmente il modo di concepire lo spazio
pubblico. Il distanziamento sociale, culminato nella quarantena che
abbiamo affrontato per due mesi, ci ha costretto a diradare le
relazioni, rinunciando a quei rituali quotidiani che rappresentano la
parte migliore delle nostre giornate.
Allo stesso tempo l’emergenza climatica, dichiarata pochi mesi fa
anche dal Consiglio Comunale di Bologna, è già parte del nostro
presente, e rischia di rappresentare una grave ipoteca sul futuro del
nostro Pianeta.
Abbiamo bisogno di nuovi spazi di vita: le settimane di lockdown ci
hanno fatto vivere una città libera dalle auto e dai loro odori,
permettendoci, se lo volevamo, di camminare in mezzo alla strada.
Godere ogni centimetro della città è migliorare la qualità delle
nostre vite, oggi schiacciata tra il necessario distanziamento fisico
e la crescita del traffico che ci toglie spazio.
Siamo convinti che le nuove sfide poste dalla pandemia possano
trasformarsi in occasioni per affrontare i nodi che già conoscevamo.
Pensiamo, per esempio, che il distanziamento fisico possa diventare
riappropriazione dello spazio pubblico; che la necessità di
contingentare l’uso del trasporto collettivo possa aiutarci a
scegliere mezzi ecologici e salutari, dai piedi alla bici.
Oggi, in un’epoca emergenziale, abbiamo bisogno di scelte
straordinarie. Dobbiamo sperimentare, con la consapevolezza che
soltanto attraverso la pratica quotidiana di ciò che prima sembrava
impensabile possiamo trovare le soluzioni per vivere nella pandemia e
gettare le premesse per un futuro sostenibile.
Per queste ragioni, crediamo necessario promuovere una serie di
misure emergenziali da testare durante l’estate, con l’obiettivo
di creare nuovi spazi in prospettiva permanenti di socialità,
relazione, gioco e cultura, ma anche nuove occasioni per il tessuto
commerciale di vicinato della città.
“Strade Aperte a
Bologna” è una richiesta che viene dal basso, per riportare lo
spazio pubblico al centro dei quartieri e della vita degli abitanti
della Bologna fuori porta. E’ un approccio deliberato e graduale
per infondere il cambiamento urbano, ambientale e sociale. E’
l’idea che strade e piazze della città, da aree di passaggio, di
consumo o di parcheggio, tornino a essere luoghi da vivere e in cui
vivere, dove la cittadinanza collabora attivamente sia nella
ideazione, sia nella realizzazione concreta.
“Strade aperte”
propone e chiede concretamente all’Amministrazione comunale di
progettare e realizzare, attraverso percorsi partecipativi che
coinvolgano le associazioni e i cittadini dei territori nella loro
definizione:
1. Sperimentazioni
d’uso dello spazio pubblico: attuiamo durante l’estate
interventi diffusi di “urbanismo tattico”, con allestimenti anche
temporanei con bassi costi e bassi rischi, per avere nuovi luoghi di
incontro e di economia di prossimità;
2. Il centro
fuoriporta: creiamo nuove piazze pedonali in ogni quartiere, per
offrire alla comunità locale spazi sicuri per la socializzazione ed
eventi culturali;
3. Strade
residenziali condivise: diamo priorità alle persone rispetto ai
veicoli a partire dalla evoluzione delle zone 30 esistenti in “zone
residenziali”, dove i bambini possano giocare come una volta e i
pedoni possano camminare sicuri;
4. T-weeks:
sperimentiamo l’estensione dei T-days tutti i giorni della
settimana per l’estate e l’abbassamento della velocità a 20 km/h
nelle vie secondarie del centro storico, con precedenza a pedoni,
ciclisti e micro-mobilità elettrica.
Inoltre, guardiamo alla cultura come a uno strumento fondamentale per
promuovere nuovi stili di vita e aiutarci nella transizione verso una
città sostenibile. Per questo proponiamo che l’estate culturale
bolognese, co-promossa dall’amministrazione comunale e quest’anno
programmata attraverso una pluralità di eventi sia in centro sia nei
quartieri, diventi occasione per la promozione di nuovi spazi
pubblici di socialità, con la pedonalizzazione per la durata
dell’intera rassegna culturale dei luoghi che ospiteranno queste
iniziative. Solo così questi angoli di città si trasformeranno da
palcoscenici a spazi di relazioni nei quali bambini, donne e uomini e
anziani possano giocare, chiacchierare, vivere l’estate.
Abbiamo un’occasione importante: proiettare Bologna nel futuro. Ma
il tempo del domani è oggi, e questa è una sfida da accettare ora.
Dall’inizio dell’epidemia abbiamo accettato norme stringenti, anche
più stringenti rispetto a settori equivalenti e le abbiamo rispettate.
Nello svolgimento del mercato del giovedì sera in via Gobetti, Campi
Aperti si è impegnato a seguire rigorosamente tutte le misure di
sicurezza anti-contagio concordate con il comune, per responsabilità
civile davanti alla nostra comunità di co-produttori in questo periodo
critico. Abbiamo rispettato, anche in passato, norme ingiustificatamente
più stringenti di settori equivalenti e senza neanche protestare. Ci
siamo perfino attivati per la costruzione di un servizio di consegna a
domicilio per i nostri soci coproduttori su www.campiaperti.it.
Il parco pubblico dietro il mercato, pur essendo in prossimità non è di nostra competenza, più volte anche dalla radio di mercato i partecipanti sono stati invitati a rispettare le indicazioni di sicurezza.
Anticipiamo alle ore 16 l’apertura dei tre mercati che riapriremo nella settimana entrante: via Tolmino, Vag e vicolo Bolognetti. Il motivo di questo anticipo è dovuto a un’imposizione del comune di Bologna di rispettare un rapporti 1 a 1 tra banchi e clienti presenti all’interno del mercato. Questa disposizione rallenterà in maniera forte lo svolgimento del mercato, per questo anticipiamo l’apertura alle 16 e posticipiamo la chiusura alle 20. Informiamo inoltre di essere abbastanza stanchi di subire disposizioni arbitrarie prive di senso oltreché di buonsenso, che hanno più a che fare con la burocrazia totalitaria che con la sicurezza sanitaria.
Martedì 14 Aprile dalle ore 15 in via Paolo Fabbri CampiAperti tornerà in piazza per distribuire prodotti ordinati, via telefono o mail, direttamente ai produttori (venerdì 10 divulgheremo la lista dei contatti). Chi effettuerà l’ordine potrà venire a ritirarlo direttamente al mercato. La vendita diretta al dettaglio per ora ci è stata preclusa.
L’emergenza attuale ha reso chiaro che l’accesso ai servizi sanitari è una necessità non solo per la tutela della salute individuale, ma anche di quella collettiva. Ad alcune persone l’accesso alle cure non è garantito in virtù del loro stato giuridico o abitativo. Per salvaguardare la salute della collettività chiediamo che venga mantenuto e rafforzato un Servizio Sanitario Nazionale pubblico, equo e universalistico, basato sulla solidarietà. Il 7 aprile, chiamiamo tutte le persone a manifestare il proprio sostegno al nostro appello ‘Diffondere la solidarietà, non il virus‘: 1. Scrivete i vostri messaggi in difesa della salute e della sanità pubblica su uno striscione o su un cartellone da esporre in un luogo visibile (balcone, atrio del condominio, porta di casa…) 2. Se volete, fatevi una foto con i vostri messaggi e condividetela sui social con l’hashtag #health4all e #salutepertutteetutti e sulla mappa interattiva qui: bit.ly/Agir4Health