CampiAperti

Agricoltura biologica e mercati contadini per l'autogestione alimentare

Categoria: Primo Piano

  • Assistenza tecnica agroecologica

    Assistenza tecnica agroecologica

    Immaginiamo che una assistenza “agroecologica” coerente con lo sviluppo delle Reti Alimentari Contadine debba avere queste basi:

    – sistemiche: “i sistemi sociali e biologici hanno un alto valore agricolo”. L’agroecologo quindi deve occuparsi di assistere non solo lo sviluppo agronomico ed economico ma ancor più lo sviluppo sociale ed ecologico di un’azienda agricola, e le competenze così vaste possono essere integrate in equipe di lavoro, formate da agronomi, sociologi, biologi, geografi, pedologi, geologi, economisti, informatici e pratici.

    – di rete, ovvero deve facilitare le relazioni e il passaggio di informazioni (formali e informali) da tutti gli stakeholders (produttori, ricercatori, coproduttori, amministratori), in modo orizzontale, al fine di portare ad uno sviluppo culturale oltre alla risoluzione dei problemi.

    – results-based (basata sui risultati): significa che la qualità dell’azienda viene misurata su parametri agroecologici misurabili per arrivare ai quali il consulente facilita il percorso. Non quindi tecnici che compilano carte sulla base di disciplinari di produzione standardizzanti.

    – territoriale: in agroecologia l’unità funzionale minima è il fondo agricolo e non il campo, visto all’interno di un sistema agricolo, ecologico e paesaggistico territoriale. Gli itinerari tecnici sono sviluppati non per coltura su una scala regionale, ma per sistemi agricoli locali, in cui le caratteristiche ecologiche e sociali sono fondamentali, e non parametri opzionali.

    Queste caratteristiche sono la nostra visione. Troviamo parti di questa visione leggendo ed interpretando alcuni concetti che troviamo espressi in diversi documenti ufficiali dell’Unione Europea, come l’AKIS (Agriculture Knowledge Innovation System), il Multi-Actor Approach, i Living Labs, gli eco-schemes, ma vorremmo che le istituzioni venissero a confrontarsi di persona con le reti contadine della loro interpretazione e di come questi concetti si possano realizzare concretamente.

  • Abbiamo una proposta! Le Comunità di  Supporto all’Agricoltura (CSA)

    Abbiamo una proposta! Le Comunità di Supporto all’Agricoltura (CSA)

    A Bologna, nel quartiere di Borgo Panigale-Reno, si è costituita nel 2013 Arvaia Società Cooperativa Agricola , una delle prime CSA italiane. Attualmente Arvaia conta 10 lavoratori dipendenti e 493 soci e distribuisce ogni settimana 200 parti del raccolto ai soci fruitori che partecipano economicamente a sostenere il bilancio annuale. Questa CSA dal 2015 ha in concessione onerosa 47 ettari di proprietà del Comune di Bologna, a seguito della aggiudicazione per bando pubblico che prevede un affitto annuo di 605 euro ad ettaro per le parti destinate a coltivazione agricola. Potete leggere le misure che rivendichiamo per le CSA su https://www.campiaperti.org/progetto-per-la-sovranita-alimentare/

  • Report assemblea generale 28 giugno

    Report assemblea generale 28 giugno

    Quattro audio provenienti dall’ultima assemblea:

    Lettura documento sulle relazioni della Garanzia Partecipata

    documento gp

    Report tavolo Garanzia Partecipata

    report tavolo gp

    Report tutoraggio senza prestito con MAG6

    report con mag

    Lettura del verbale dell’assemblea generale del 28 giugno

    verbale assemblea generale giugno

    Prossima assemblea generale il 26 luglio zona Modena

  • Abbiamo una proposta! Un poco di analisi…

    Abbiamo una proposta! Un poco di analisi…

    La crisi ambientale, la consapevolezza dell’importanza delle scelte alimentari per la salute, l’esigenza di garantire la dignità del lavoro e di favorire l’occupazione: sono tutte tematiche che mettono l’agricoltura al centro di un dibattito nel quale sentiamo fortemente l’esigenza di intervenire. Non è più il momento di demandare questo tema alle scelte individuali in tema di consumo alimentare, né a quello delle scelte imprenditoriali, ma è il momento di impegnarci ad elaborare scelte collettive su queste tematiche, e quindi di elaborare, praticare e pretendere politiche agricole che vadano a vantaggio della collettività e non di interessi particolari.

    Anche in Italia, come nel resto dell’Europa, e del mondo, possiamo individuare più filiere di produzione e distribuzione del cibo: da una parte le reti alimentari contadine locali, che comprendono la filiera cortissima dell’autoconsumo e il vastissimo panorama di piccole e medie aziende che spesso vendono direttamente le proprie produzioni in azienda, nei mercati, nei gruppi d’acquisto, nei circuiti dei negozi di prossimità e nella ristorazione; dall’altra le filiere industriali, caratterizzate dalla monocoltura, dall’utilizzo spinto della chimica e da forti input energetici nella produzione, dall’accentramento del potere di acquisto e distribuzione in pochissime mani, dal commercio globale del cibo, e da una spinta trasformazione industriale dei prodotti alimentari.

    Se spesso viene messo l’accento sulla necessità di sostenere le filiere industriali in quanto capaci di produrre cibo a basso costo, questo lo si fa tralasciando di contabilizzare i costi esternalizzati legati ai danni ambientali prodotti da pesticidi e fertilizzanti sintetici (contaminazione delle falde acquifere e inquinamento atmosferico), dalla perdita di agrobiodiversità, dall’eliminazione degli elementi naturali nelle campagne, dallo spreco di plastiche negli imballaggi, con il relativo inquinamento; lo si fa non contabilizzando i danni alla salute provocati dai pesticidi con le intossicazioni acute e le malattie croniche che provocano, con i danni dell’esposizione prenatale, dalla malnutrizione dovuta al consumo di prodotti eccessivamente ricchi di sale, zucchero, grassi saturi; lo si fa ignorando lo spreco di risorse, i costi dello smaltimento dei rifiuti, la perdita di suolo fertile. Lo si fa ignorando le riduzioni di costo ottenute attraverso le distorsioni dovute al controllo monopolistico, che impone ai produttori prezzi inferiori ai costi di produzione, che promuove lo sfruttamento dei braccianti e degli altri lavoratori della filiera, che provoca enormi squilibri sociali e fame nei paesi del sud del mondo, e infine ignorando la massa di sussidi che la collettività stessa riconosce agli attori di questa filiera.

    Al contrario le reti alimentari contadine sono in grado di produrre alimenti nutrienti in equilibrio con l’ambiente e le risorse e possono garantire, quando opportunamente sostenute dalla collettività, un lavoro dignitoso nelle varie fasi della produzione e distribuzione.

    Nonostante questo le realtà agricole e le filiere contadine presenti nei nostri territori non vengono messe al centro dello sviluppo delle politiche agricole, e questo avviene anche tralasciando di rilevare la presenza di un tessuto agricolo che tutt’ora vede nell’agricoltura di piccola scala una presenza tutt’altro che irrilevante. La stessa carenza di dati circa le filiere locali e l’agricoltura finalizzata al commercio di prossimità evidenzia una carenza di attenzione. Oltre al cibo prodotto e consumato localmente proveniente dalle piccole e medie aziende e commercializzato tramite mercati, gruppi d’acquisto, esperienze di community-supported agriculture, spacci aziendali, esercizi di prossimità, la filiera locale si arricchisce anche del cibo che non viene commercializzato ma viene destinato all’autoconsumo da parte delle famiglie (orti urbani e rurali, piccoli allevamenti), così come di ciò che proviene dalla raccolta di piante spontanee in terreni coltivati o in natura. In particolare queste ultime filiere, non essendo commerciali, vengono completamente ignorate nonostante svolgano appieno il compito di nutrire le persone in modo sostenibile con cibo di qualità. Nei nostri territori inoltre, anche nelle aziende di maggiori dimensioni, che praticano una agricoltura e partecipano ad una filiera di tipo industriale sopravvivono spesso in parallelo anche le piccole produzioni destinate al commercio locale in varie forme così come all’autoconsumo.

    Dall’altro lato, molte filiere industriali non hanno lo scopo di nutrire i cittadini (semmai è quello di produrre profitti), e tantomeno coloro che risiedono nel nostro territorio. È sufficiente pensare a quanto prodotto agricolo viene destinato esclusivamente o principalmente all’esportazione (spesso con l’etichetta “Made in Italy”) e allo stesso modo a quanto cibo industriale, talvolta realizzato con materie prime che provengono da fuori regione o dall’estero, con il paradosso che filiere che appaiono “emiliano-romagnole” (magari “tipiche” o “di qualità”) hanno in regione solo la fase di trasformazione industriale, mentre sono approvvigionate da produttori non locali e hanno acquirenti non locali. L’unico beneficio che queste produzioni portano sul territorio è relativo a qualche posto di lavoro e al profitto economico, che però è concentrato nelle mani di pochi, mentre ben più rilevanti appaiono i costi in termini di inquinamento, sprechi e concorrenza sleale verso le reti contadine locali.

    Una narrazione dell’agricoltura emiliano-romagnola che metta al centro il rilievo di ciò che oggi nutre in modo salutare la popolazione nelle nostre aree, di quella miriade di esperienze che salvaguardano i territori sia nelle aree collinari e montane più fragili, che nelle zone di pianura, di quell’agricoltura che minimizza lo spreco, che utilizza in modo razionale le risorse, che riduce gli imballaggi e i trasporti a lunga distanza, porterebbe un riconoscimento necessario a rivendicare un ruolo che per il futuro deve diventare sempre più ampio.

    È arrivato il momento che le politiche agricole inizino a sostenere ciò che porta un vantaggio alla collettività, che la popolazione sia messa in condizione di fare delle scelte per l’ambiente, la salute e l’equità sociale, che sia promosso l’accesso al cibo che nutre e che si educhi a riconoscere il cibo che ammala. Che agricoltori e cittadini siano messi in condizione di scegliere realmente, e che si riconosca che sono le scelte politiche a definire i costi reali dei diversi modelli produttivi.

    Siamo consapevoli del fatto che attualmente anche le filiere industriali, sostenute in primo luogo dalla GDO, rivendicano esse stesse un ruolo nella salvaguardia ambientale, attraverso le filiere industriali del biologico, nel sostegno all’equità sociale e alla salvaguardia della salute attraverso le certificazioni, i marchi “etici”, i marchi “di qualità” e quant’altro. Così come rivendicano un ruolo nel “km 0” inserendo produttori locali negli scaffali dei supermercati. In realtà la scelta offerta nello scaffale di un supermercato è solo apparente, in quanto scelta fondata sul prodotto e non su una reale condivisione dell’insieme dei processi produttivi che sono alla base delle filiere sostenute. Lo stesso concetto di “qualità” assume significati completamente diversi dentro la filiera industriale rispetto alle varie e diversificate filiere contadine. La qualità che promuoviamo nelle filiere contadine non ha a che vedere con l’uniformità e la stabilità di un prodotto, ma con il riconoscimento di un comune impegno da parte di produttori e consumatori verso la costruzione di un rapporto corretto con l’ambiente e le risorse, del rispetto dei territori, di un comune sforzo a contenere i cambiamenti climatici, di una comune aspirazione ad un mondo più equo. Tutto ciò è relativo alle relazioni che sono alla base dello scambio di un prodotto più che al prodotto stesso, al riconoscimento di una complementarietà, di una interdipendenza tra i vari soggetti della collettività.

    All’interno delle filiere industriali il potere si concentra nelle poche mani di chi possiede gli ingenti capitali necessari alla lavorazione e alla logistica, ai trasporti al lunga distanza che tale sistema impone. Sono queste poche mani che scelgono, e le scelte sono necessariamente fondate sulla massimizzazione dei profitti. È solo in questi termini che il “prodotto etico”, il “prodotto sano” entra nel gioco, in quanto capace di esercitare un potere attrattivo verso alcune categorie di acquirenti. È così che il prodotto “buono” partecipa esso stesso al successo del sistema che crea le condizioni delle crisi ambientali e sociali legate al settore agricolo. A rendere ancora più potenti i giganti del sistema alimentare della filiera industriale c’è il fatto che questi sono in grado di incidere sia in sede WTO influenzando i trattati commerciali che in altre sedi quali la banca mondiale e le sedi diplomatiche. Questo li rende in grado di “creare le regole del gioco”, non di doverle seguire.

    Pensiamo al contrario che solo le filiere contadine, non creando accentramenti di potere ed essendo costituite da una miriade di soggetti che si relazionano in modo paritario, abbiano le potenzialità per creare l’agricoltura del futuro, un’agricoltura al servizio dei bisogni collettivi.

    In questo nostro percorso prendiamo fortemente le distanze da chi inserisce la salvaguardia dei sistemi agricoli locali e contadini in un contesto di nostalgie patriarcali, di xenofobia, e di nazionalismo fascista.

  • Abbiamo una proposta! Ottenere il riconoscimento dei Sistemi di Garanzia Partecipata

    Abbiamo una proposta! Ottenere il riconoscimento dei Sistemi di Garanzia Partecipata

    I Sistemi di Garanzia Partecipata sono pratiche complesse, nate in seno al movimento della Sovranità Alimentare in diverse parti del mondo, attraverso le quali le comunità territoriali che costruiscono le Reti Alimentari Contadine auto-controllano il rispetto delle regole collettive che le comunità stesse si sono date. In Emilia Romagna esistono diverse esperienze di SGP tra le più datate in Italia, tra queste quella di Campi Aperti vede quasi due decenni di pratica e progressivo perfezionamento. I Sistemi di Garanzia Partecipata, se condotti con scrupolo, offrono standard di garanzia decisamente superiori rispetto ai sistemi di certificazione vigenti. Infine i Sistemi di Garanzia Partecipata vanno altre la garanzia dei metodi di produzione interessando, ad esempio, regole sul rispetto dei lavoratori dipendenti nelle aziende agricole. Leggi e commenta il capitolo B del progetto per la sovranità alimentare.

  • Abbiamo una proposta! Ripensare la legislazione in materia agricola

    Abbiamo una proposta! Ripensare la legislazione in materia agricola

    Le leggi danno la forma al mondo: abbiamo bisogno di norme nuove, che promuovano l’agricoltura contadina di prossimità, per la salvaguardia delle risorse naturali e come base per la costruzione di sistemi di relazione sociale basati sulla cooperazione e non sulla competizione. Ma soprattutto abbiamo bisogno di una riforma radicale della Politica Agricola Comunitaria.

    Leggi il capitolo E del “progetto per la sovranità alimentare

  • Abbiamo una proposta! 10-100-1000 mercati contadini (veri)

    Abbiamo una proposta! 10-100-1000 mercati contadini (veri)

    I mercati di vendita diretta sono la principale forza per la sopravvivenza delle aziende agroecologiche di prossimità e la principale possibilità per i cittadini di acquistare prodotti freschi, sani e sostenibili, in un contesto di conoscenza e rispetto reciproco. Per tutelare l’ambiente, la salute, le acque, l’occupazione occorre moltiplicare il numero di aziende agroecologiche e di conseguenza occorre moltiplicare il numero di mercati contadini nelle città. Per raggiungere questo obiettivo occorrono politiche pubbliche consapevoli e coerenti. “Progetto per la Sovranità Alimentare

  • Abbiamo una proposta! L’importanza dell’agricoltura contadina

    Abbiamo una proposta! L’importanza dell’agricoltura contadina

    Per iniziare ad affrontare seriamente molti grandi problemi di carattere sociale e ambientale, dai cambiamenti climatici all’inquinamento delle falde, dall’impoverimento dei territori allo sfruttamento dei lavoratori, dobbiamo diffondere il modello delle Reti Alimentari Contadine – contro lo strapotere delle Catene dell’agricoltura industriale. Leggete e commentate il nostro “progetto per la sovranità alimentare” https://www.campiaperti.org/progetto-…

  • Abbiamo una proposta! Il progetto per la Sovranità Alimentare

    Abbiamo una proposta! Il progetto per la Sovranità Alimentare

    Primo video di presentazione del “progetto per la sovranità alimentare” tutti i documenti su https://www.campiaperti.org/progetto-per-la-sovranita-alimentare/

  • Solidarietà per Rita.  Zero tolleranza contro il fascismo!

    Solidarietà per Rita. Zero tolleranza contro il fascismo!

    Campi Aperti condanna senza se e senza ma l’atto intimidatorio ai danni della drogheria 57 di via Pietralata.

    Piena solidarietà per Rita incredibile donna che ha sempre sostenuto la nostra comunità, anche grazie al suo lavoro e al suo inesauribile impegno sociale e politico.

    Fonte: https://www.zic.it/sfregiata-la-drogheria-53-al-pratello/

    Nottetempo un individuo, con una svastica tatuata sul petto, ha compiuto un atto vandalico contro la bottega della Rita, imbrattando anche il cartello “chiuso per lutto” che era affisso sulla serranda. “La vivo come una minaccia”, dice Rita, “è giunto il tempo di far sentire che c’è una sensibilità e una presenza antifascista sul territorio”.

    Il Pratello è sicuramente uno dei quartieri più antifascisti di Bologna, la Rita e il suo negozio di vicinato, la “Drogheria 53” di via Pietralata, è da anni un punto di riferimento per la festa popolare del 25 aprile. I ragazzi del Pratello hanno realizzato anche una maglietta con la scritta “Brigata Rita”, elogiando e riconoscendo il suo impegno sociale contro il razzismo, il fascismo e ogni forma di discriminazione, apprezzando le sue battaglie ambientali condotte in città e in quartiere.

    La “Drogheria 53” in questi giorni è chiusa, Rita è stata colpita da un grave lutto familiare, sulla serranda era affisso un cartello di “chiuso per lutto”.

    Due notti fa, verso l’una e trenta, un individuo sui venticinque / trent’anni, con tatuata una svastica sul petto (tenuta ben in vista), ha tentato di deturpare, con una bomboletta di vernice nera, la serranda del negozio, tra l’altro imbrattando a sfregio il cartello “chiuso per lutto”.

    La serranda della bottega è decorata da un graffito che simboleggia il sostegno a Xm24, una esperienza di autogestione dal basso che Rita ha sostenuto e frequentato. L’atto vandalico era rivolto soprattutto a questo disegno decorativo.

    Il gestore della vicina birreria, vedendo la scena, si è rivolto al “verniciatore fascista” chiedendo cosa stesse facendo e ricevendo, come risposta dal nazi, uno spruzzo di spray nero molto irritante.

    A quel punto, l’esercente ha chiamato le forze dell’ordine. Il ragazzotto ha cercato prima di scappare con la bicicletta con cui era sopraggiunto, ma placcato e immobilizzato dal birraio, ha pensato bene di chiamare il 118 dichiarando di essere stato ferito. Quando sono arrivati i carabinieri il tipo ha fatto il carino con loro.

    Alcuni writers presenti in birreria hanno detto che il fascistello non c’entra niente con il loro mondo. Altre due persone, spettatrici dell’episodio, hanno testimoniato che l’individuo responsabile dei danni alla serranda si filmava con un telefonino e che, per l’atteggiamento, per l’uso impacciato della bomboletta, per l’importanza che dava al “documentare” il gesto che stava compiendo non sembrava un “tipico” writer, ma era venuto lì apposta (tra l’altro in bicicletta) per compiere quella bravata.

    I carabinieri hanno verificato le testimonianze e hanno identificato l’autore della bravata e il birraio.

    Sull’episodio abbiamo voluto sentire la Rita che, naturalmente, non l’ha presa bene: “Spero che le budella gli si attorciglino attorno alla gola… Quel vigliacco ha sfregiato anche il cartello ‘chiuso per lutto’… E’ una forma ignobile di disprezzo nei confronti della mia persona e della mia famiglia… Sono preoccupata e vivo questo atto come una minaccia esplicita. Altre volte sono stata oggetto di danni addebitabili a ‘mani fasciste’ e non ho mai utilizzato tribunali per rispondere. Questa volta ho deciso di fare denuncia per non lasciare che anche questa cosa vada in cavalleria… E vi assicuro che non mi fa piacere… I carabinieri hanno identificato il fascista, il mio vicino ha fatto denuncia per aggressione, io mi appresto a farla per atti vandalici e danni aggravati. Voglio fare la querela perché è un po’ di tempo che gruppetti di giovani nazistoidi girano sfregiando simboli, aggredendo negozianti stranieri, sentendosi troppo a ‘loro agio’… Vorrei che il mio esposto non fosse raccolto solo come scontro tra ‘opposte fazioni’, credo che, anche con piccoli atti individuali, sia giunto il tempo di far sentire che c’è una sensibilità e una presenza antifascista sul territorio. Non è vero che tutte le vacche sono bigie, c’è chi prende parte e dalla ‘nostra parte’ c’è bisogno di renderlo palese”.