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  • Il km0 o l’impatto ambientale? Sulla distanza delle aziende dai mercati.

    Il km0 o l’impatto ambientale? Sulla distanza delle aziende dai mercati.

    KmZero

    Hoverfly_May_2008-8La locuzione “Km0” è la traduzione italiana di “food miles”. Questo termine, nella traduzione italiana non è privo di conseguenze. Il concetto di “Km0”, rispetto alla sua versione inglese, mette l’accento sui luoghi d’origine dei cibi, legandosi ad un movimento di rivalutazione delle tradizioni popolari e della storia patria che, nella sua versione più etnocentrica, è alla radice anche di un fenomeno come quello leghista. Il concetto ha avuto successo in ambienti e indirizzi politici piuttosto eterogenei. La crescita di sensibilità nei confronti dei problemi di natura ecologica, associata al richiamo alle tradizioni locali, ai prodotti tipici, ha reso molto popolare il “km0”, al punto che anche organizzazioni nazionali (vedi ad es. la coldiretti) lo hanno sposato. Questo movimento di opinione ha portato alla nascita di innumerevoli “farmer’s markets” con caratteristiche alquanto eterogenee (biologico/convenzionale, territoriali/inter-territoriali, ecc.).
    Nella pratica, l’idea di km0 ha prodotto delle pratiche che hanno messo al centro i “prodotti tipici”, non tanto perché in essi la quota di km percorsi dal cibo è inferiore rispetto a degli equivalente provenienti da zone più distanti, quanto perché essi esprimono il legame territoriale del produttore e del co-produttore con il suo territorio. Si tratta di un territorio vicino, della tradizione locale, dove la vicinanza è sinonimo di fiducia (mentre la distanza, l’impersonalità comunicano soprattutto sfiducia), questo ha veicolato l’idea che mangiare i prodotti del territorio è anche un comportamento in qualche modo più salutare.

    In effetti, in linea generale questo è maggiormente probabile, soprattutto quando il termine di paragone sono i “cibi industriali” con i suoi portati chimici di grassi animali e idrogenati, conservanti, coloranti e addittivi alimentari in genere, ma non è sempre così. Nelle singolarità degli scambi economici, questo si traduce come rapporto tra produttore e co-produttore/consumatore; rapporto che non necessariamente veicola prodotti più sani, meno inquinati (ad esempio, è noto che la pianura padana non sia tra i luoghi meno inquinati d’europa) o meno carichi di pesticidi (soprattutto se si tratta di piccole aziende in regime di agricoltura convenzionale), e non necessariamente meno inquinanti.

    Assumere l’aspetto territoriale come “differenza che fa la differenza” nella partecipazione delle aziende ad un mercato contadino (“mercati a km0”) ha degli indubbi vantaggi da un punto di vista sociale ed ambientale. Promette e in parte riesce, ad esempio, a supplire alla mancanza di redditività dell’agricoltura per l’industria, cosa che ha permesso una rinascita, seppur ancora molto limitata, di una agricoltura che produce anche o solo per la vendita diretta del proprio prodotto (preferibilmente nel proprio territorio di appartenenza). Questo, secondariamente, permette a molti agricoltori di continuare anche a produrre per l’industria a prezzi inferiori ai costi di produzione. Diversi contadini, infatti, si trovano nella situazione di coprire le perdite derivanti da produzione specializzate per l’industria, con i redditi derivanti dalla vendita diretta (rendendo, si potrebbe dire, la vendita diretta una stampella dell’autosfruttamento per la produzione agricola industriale).

    L’agricoltura per la vendita diretta è una soluzione economicamente più redditizia per l’agricoltura, ma da questo punto di vista non tutti i territori godono delle stesse possibilità di “co-produzione”. E’ evidente, ad esempio, che essere un agricoltore che si orienta alla vendita diretta ed avere i campi nei pressi di una città, vuol dire avere la possibilità di incontrare un maggior numero di co-produttori presso “mercati contadini” cittadini, e cioè avere una base di co-produttori in grado di dare redditività all’agricoltore che vi partecipa.
    Vendere un prodotto di cui c’è molta abbondanza nel territorio (perché vocato o perché storicamente l’agricoltura di quel territorio si è orientata verso un certo tipo di monocolture), al contrario, può essere difficile proprio per la mancanza di co-produttori interessati. Produrre ortaggi in montagna è generalmente meno conveniente che in zone pedoclimatiche più calde (quando gli ortaggi sono pronti per essere venduti il mercato è spesso già saturo e deprezzato) se poi la probabilità di incontrare co-produttori interessati (data la scarsa densità abitativa delle montagne) è piuttosto bassa, allora diventa evidente che le condizioni di partenza creano delle differenze sostanziali.

    In questo senso, se ne potrebbe osservare, che la posizione geografica è fonte di una disuguaglianza sociale stabilita, diciamo così, “per nascita”, piuttosto che sulla base del proprio agire ecologico. I campi non si spostano, alcuni km o differenze di decine di metri possono generare condizioni molto diverse per il singolo agricoltore. E’ questo il caso dei mercati che stabiliscono un limite chilometrico o socio-territoriale (solo gli agricoltori che sono a meno di 30 km o solo quelli della provincia di Bologna), è il caso del regolamento del comune di bologna sui mercati a km0, ma anche quello dei regolamenti dei “mercati della terra” targati Slow Food.

    La scelta di restringere la partecipazione ai mercati cittadini solo alle aziende di un certo territorio (scelta sicuramente motivata sulla base di criteri del minor impatto ambientale) può, in altre parole, produrre effetti non voluti perché non tiene conto delle singole specificità aziendali. Si tendono a trascurare aspetti relativi alle modalità “contestuali” della produzione e della vendita (ad esempio: quanto prodotto si vende per km percorso? Quanta energia non rinnovabile si è utilizzata per produrre quel cibo? Che tipo di rifiuti sono stati prodotti o verranno prodotti durante il ciclo di vita di quel cibo?).

    I regolamenti dei mercati a km0 escludono dalla partecipazione ai mercati le aziende agricole al di fuori di un certo range chilometrico, ma poiché la legge di regolamentazione della vendita diretta consente agli stessi agricoltori di vendere fino al 49% di prodotto non proprio, le conseguenze di questo principio diventano di fatto un privilegio per le aziende del territorio che acquisiscono quote di mercato cittadino solo per il fatto di appartenere al territorio. Diventa evidente che la sola distanza territoriale tra luogo di produzione e luogo di vendita è una discriminante che da sola è inadeguata e che può diventare semplicemente discriminatoria!

    L’impatto ambientale

    L’idea di “carbon footprint” lega la vita di un prodotto (dalla produzione al consumo) all’impatto che quel prodotto ha sull’ambiente, valutato come quantità di CO2 immessa nell’aria (e cioè come “impronta carbonica”), ed è una misura più raffinata perchè tiene conto di un numero di fattori maggiori rispetto alla più semplice idea di km0. Prendiamo, ad esempio, due aziende ad alcune decine di kilometri l’una dall’altra che praticano l’agricoltura in serra. Nella prima il riscaldamento della serra avviene attraverso l’uso di combustibili fossili, nella seconda (quella più lontana) le serre sono riscaldate attraverso la fermentazione del compost. A parità di condizioni l’azienda che usa il compost pur essendo più lontana avrebbe un’impronta ecologica più bassa.

    Sarebbe, quindi, più giusto calcolare l’impronta ecologica dei singoli prodotti per discriminare le aziende, ma anche questa misura non è sufficiente perché trascura una moltitudine di altri fattori.

    Bisognerebbe mettere a punto degli indicatori più complessi che siano in grado di considerare una pluralità di parametri: non solo il luogo di produzione, ma anche le condizioni di produzione (con quali mezzi è stato ottenuto, quali concimi, quali antiparassitari, erbicidi, sementi), le condizioni di magazzinaggio (trasporti, refrigerazione, trattamenti, ecc.), le modalità di confezionamento (conservanzione, packaging, trasformazione, ecc.) il trasporto (tipologia dei mezzi di trasporto impiegati, capacità di carico per grammi di CO2 emessa) e, infine, le stesse modalità di vendita (unità di prodotto venduto per chilometri percorsi).

    Bisognerebbe procedere ad analisi più complesse e prendere in considerazione i molteplici fattori che concorrono a generare l’impatto ambientale negativo o positivo di un prodotto. I risultati di queste analisi discriminerebbero con più precisione della semplice lontananza territoriale della produzione dal luogo di vendita, indicando comportamenti ed aziende agricole virtuose (tali da avere un impatto ambientale positivo) e stimolando al contempo gli agricoltori a fare di più e meglio.

  • In una settimana il lupo ha ucciso 12 pecore

    In una settimana il lupo ha ucciso 12 pecore

    wolf-472956_640In una settimana il lupo ha ucciso 12 pecore, ferito gravamente altre 10, e spaventato piu di 200. tutto in pieno giorno, in mattina, in area
    visibile e recintata. Presi dalla disperazione siamo andati davanti alla regione responabile per i danni da predazione. Crediamo che   80 euro di rimborso meno lo smaltimento delle carcasse (circa 30euro) sia troppo poco ( una presa in giro). La vita di un animale vale molto di piu di 50 euro, per la famiglie che ci vivono, per la collettività ( manteniamo il territorio faccendo pastorizzia in zone svantaggiate, perchè simo rimasti pochissimi a fare una vita fuori dal tempo). La reintroduzione del lupo non deve essere fatta sulla pelle dei pastori.
    Sono ormai centinaia gli animali predati in tutta la regione. Solo le persone che conosciamo hanno perso più di 80 animali. La selva romanesca in due anni quaranta, Salvatore Cottu negli ultimi anni almeno una trentina …. i lupi attaccano persino i vitelli al pascolo.
    Il costo dei  rimborsi  che sostiene la  collettività è di  200.000 euro l’anno. Noi vogliamo gli allevamenti etici , rispettosi del benessere animale, biologici, con gli animali al pascolo, ma noi non siamo in grado di sostenere i costi per tutelare i nostri animali dal lupo.
    Potremo come collettività grazie alla tecnologia tracciare la presenza del lupo? Dei collari con il gps…. le recinzioni  non sono la
    soluzione e i cani da pastore non si possono tenere nelle aree abitate, ( le persone possono essere agredite dai cani, i cani difendono il territorio e le pecorte da tuttti gli intrusi anche i ciclisti) Il vedere ripetutamente gli animali attaccati,  uccisi, sbranati  e spaventati ti porta a chiudere per disperazione; oggi per poter alleviare almeno il senso di impotenza siamo andati a chiedere delle azioni più concrete, vorremmo attenzione dai giornali . Se potete difulgrare la notizia saremo molto felici.
    Grazie
    Marco Feltrin e Salvatore  Cottù

  • Elenco prezzi frutta e verdura di stagione

    Il seguente elenco prezzi ha due obiettivi principali:

      • consentire il sostentamente dei contadini che coltivano frutta e verdura
      • rendere accessibili i prodotti biologici contadini al maggior numero di persone possibile

    …ci muoviamo alla ricerca di un equilibrio tra queste due importanti aspirazioni.

    I nostri prodotti li potete trovare presso i mercatini di bologna.

    VERDURA
    VARIETA’ PREZZI NOTE
    Aglio fresco 5 – 7
    Aglio secco 7 -10
    Aromatiche 10
    Asparagi 5-7
    Bietola 2,4-3* *da serra
    Broccolo 2,7-3,5* *ricacci primaverili
    Carciofi 0,6-1* *piccoli-grandi
    Cardo imbiancato 3-4
    Cardo non imbiancato 2,5
    carote 2,5-3,5
    Cavolfiore 2,5-3
    Cavolo cappuccio 2,2-2,5
    Cavolo cappuccio rosso 2,5-3
    Cavolino di bruxelles 5-6
    Cavolo nero 3
    Cavolo verza 2,2-2,5
    Cetriolo 2,5-3* *da serra
    Cicoria 2,4-3
    Cime di rapa 2,5-3,5* *da serra
    Cipollotto di tropea 2,5-3,5
    Cipollotto fresco 3,5-4,5
    Cipolla dorata/bianca secca 2-2,5
    Fagioli freschi 3-3,5
    Fagiolini 4-5
    Fava 3-3,2
    Finocchio 2,5-3
    Fiori di zucca 0,10-0,15 cadauno
    Friggitello 4-5
    Lattughe 2,5-3,5
    Lattuga da taglio (misticanza) 5
    Melanzane 2,5-3
    Melone 2-2,5
    Patate 1,5-2
    Peperone 2,8-3,5
    Pomodoro ciliegino 3,5-4,5
    Pomodoro datterino 5-7
    Pomodoro cuore di bue 2,6-3,2
    Pomodoro da salsa
    a cassa
    1,3-1,5
    0,8-1
    Pomodoro insalataro 2,5
    Porro 2,8-3,3
    Piselli 4-5
    Radicchio 3-4* *castelfranco, treviso
    Radicchio da taglio 6-7
    Rape (ramolaccio) 2,2-2,5
    Ravanello 0,10 cadauno
    Rucola 8-10 0,8 – 1 mazzo da 100 g
    Sedano 3-3,5* * imbiancato
    Sedano rapa 3
    Spinacio 4
    Selvatiche (borragine, senape, ortica, papavero…) 4-5
    Topinambur 3
    Zucche 1,6-2
    Zucchine 2,2-3
    FRUTTA
    VARIETA’ PREZZI NOTE
    Albicocche 2,5-3,5
    Anguria 0,8-1
    Arance tavola 2
    Arance spremuta 1,8
    Avocado 5
    Cachi 2,3-2,5
    Cedri 3
    Ciliegie 6-8
    Clementine/mandarini 2,5
    Fichi 3,5-4
    Fragola 6-7
    Frutti di bosco (compreso gelso)
    mora coltivata
    8-15
    Giuggiole 3,5-5
    Limoni 3
    Mele 2-3
    Nespole 2,5-3
    Nocciole 8
    Noci 7-8
    Pere 2,8-3,3
    Pesche 2,5-3
    Pompelmo 2,3
    Prugne 2-3
    Uva 2,5-3
    Uva fragola 3
  • BioBo – I mercati biologici bolognesi

    Non hai un'idea precisa dei prodotti che acquisterai ma sai che ciò che finirà nel tuo frigorifero potrà renderti una persona più giusta e sana! Qui, incontrerai direttamente i produttori del tuo cibo biologico che ti consentiranno di portare in tavola frutta e verdure, formaggi, miele e marmellate, pane, pizza, vino, biscotti conoscendone la provenienza e i metodi di produzione. Tutto secondo la disponibilità di stagione e rispetto ai ritmi di produzione naturale della terra.

    Il presente video è stato prodotto da http://www.youtube.com/user/arcibologna

  • Eat the Rich e Foglia di Fico – 12e13 febbraio

    Venerdì sera siamo stat* a Vag alla cena/assemblea di Eat the Rich. Più cena che assemblea. Ci volevano loro per rimetterci a parlare intorno a un tavolo invece che sempre in assemblee… e ci voleva!

    Mercati contadini biologici, Gas, consegne delle arance solidali da Rosarno, e ora anche le mense autogestite Eat the Rich. Tutti i mercoledì a pranzo al Vag, in via Paolo Fabbri, e il lunedì a cena al Berneri, a porta Santo Stefano. Per ora… Mense a prezzi popolari o offerta libera, con prodotti biologici.

    Insomma, Bologna is burning. Il cibo biologico invade la città. Insieme a chi lo coltiva, chi lo cucina e sì, pure i più fortunati, che se lo mangiano e basta!

    Le battute si sprecano. Me ne fate dire una?

    Questo è soul food (cibo per l'anima), altro che…

     Mercoledì 12 febbraio il pranzo di Vag-Eat the Rich è stato dedicato a sostenere l'organizzazione della serata di giovedì 13, promossa dalla Foglia di Fico, e che in sostanza serviva per le spese per la sala del Silentium, a Vicolo Bolognetti. Perché con il patrocinio del Comune costa 80 euro, se no 180.

    Noi chiaramente sosteniamo il comune…

    Mercoledì 13 pranzo a Vag, dalle 12.30, giovedì 14 aperitivo e discussione a Vicolo Bolognetti, dalle 19.00, parleremo di Terra Bene Comune, F.I.CO., grandi opere, bene pubblico e interessi privati. 

    Saremo là, con le nostre alternative, locali, reali, alternative alle proiezioni mostruose e fantascientifiche da business dell'agroalimentare.

    Vi aspettiamo.

     

     

    Roberta