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Agricoltura biologica e mercati contadini per l'autogestione alimentare

Tag: fico

  • Il km0 o l’impatto ambientale? Sulla distanza delle aziende dai mercati.

    Il km0 o l’impatto ambientale? Sulla distanza delle aziende dai mercati.

    KmZero

    Hoverfly_May_2008-8La locuzione “Km0” è la traduzione italiana di “food miles”. Questo termine, nella traduzione italiana non è privo di conseguenze. Il concetto di “Km0”, rispetto alla sua versione inglese, mette l’accento sui luoghi d’origine dei cibi, legandosi ad un movimento di rivalutazione delle tradizioni popolari e della storia patria che, nella sua versione più etnocentrica, è alla radice anche di un fenomeno come quello leghista. Il concetto ha avuto successo in ambienti e indirizzi politici piuttosto eterogenei. La crescita di sensibilità nei confronti dei problemi di natura ecologica, associata al richiamo alle tradizioni locali, ai prodotti tipici, ha reso molto popolare il “km0”, al punto che anche organizzazioni nazionali (vedi ad es. la coldiretti) lo hanno sposato. Questo movimento di opinione ha portato alla nascita di innumerevoli “farmer’s markets” con caratteristiche alquanto eterogenee (biologico/convenzionale, territoriali/inter-territoriali, ecc.).
    Nella pratica, l’idea di km0 ha prodotto delle pratiche che hanno messo al centro i “prodotti tipici”, non tanto perché in essi la quota di km percorsi dal cibo è inferiore rispetto a degli equivalente provenienti da zone più distanti, quanto perché essi esprimono il legame territoriale del produttore e del co-produttore con il suo territorio. Si tratta di un territorio vicino, della tradizione locale, dove la vicinanza è sinonimo di fiducia (mentre la distanza, l’impersonalità comunicano soprattutto sfiducia), questo ha veicolato l’idea che mangiare i prodotti del territorio è anche un comportamento in qualche modo più salutare.

    In effetti, in linea generale questo è maggiormente probabile, soprattutto quando il termine di paragone sono i “cibi industriali” con i suoi portati chimici di grassi animali e idrogenati, conservanti, coloranti e addittivi alimentari in genere, ma non è sempre così. Nelle singolarità degli scambi economici, questo si traduce come rapporto tra produttore e co-produttore/consumatore; rapporto che non necessariamente veicola prodotti più sani, meno inquinati (ad esempio, è noto che la pianura padana non sia tra i luoghi meno inquinati d’europa) o meno carichi di pesticidi (soprattutto se si tratta di piccole aziende in regime di agricoltura convenzionale), e non necessariamente meno inquinanti.

    Assumere l’aspetto territoriale come “differenza che fa la differenza” nella partecipazione delle aziende ad un mercato contadino (“mercati a km0”) ha degli indubbi vantaggi da un punto di vista sociale ed ambientale. Promette e in parte riesce, ad esempio, a supplire alla mancanza di redditività dell’agricoltura per l’industria, cosa che ha permesso una rinascita, seppur ancora molto limitata, di una agricoltura che produce anche o solo per la vendita diretta del proprio prodotto (preferibilmente nel proprio territorio di appartenenza). Questo, secondariamente, permette a molti agricoltori di continuare anche a produrre per l’industria a prezzi inferiori ai costi di produzione. Diversi contadini, infatti, si trovano nella situazione di coprire le perdite derivanti da produzione specializzate per l’industria, con i redditi derivanti dalla vendita diretta (rendendo, si potrebbe dire, la vendita diretta una stampella dell’autosfruttamento per la produzione agricola industriale).

    L’agricoltura per la vendita diretta è una soluzione economicamente più redditizia per l’agricoltura, ma da questo punto di vista non tutti i territori godono delle stesse possibilità di “co-produzione”. E’ evidente, ad esempio, che essere un agricoltore che si orienta alla vendita diretta ed avere i campi nei pressi di una città, vuol dire avere la possibilità di incontrare un maggior numero di co-produttori presso “mercati contadini” cittadini, e cioè avere una base di co-produttori in grado di dare redditività all’agricoltore che vi partecipa.
    Vendere un prodotto di cui c’è molta abbondanza nel territorio (perché vocato o perché storicamente l’agricoltura di quel territorio si è orientata verso un certo tipo di monocolture), al contrario, può essere difficile proprio per la mancanza di co-produttori interessati. Produrre ortaggi in montagna è generalmente meno conveniente che in zone pedoclimatiche più calde (quando gli ortaggi sono pronti per essere venduti il mercato è spesso già saturo e deprezzato) se poi la probabilità di incontrare co-produttori interessati (data la scarsa densità abitativa delle montagne) è piuttosto bassa, allora diventa evidente che le condizioni di partenza creano delle differenze sostanziali.

    In questo senso, se ne potrebbe osservare, che la posizione geografica è fonte di una disuguaglianza sociale stabilita, diciamo così, “per nascita”, piuttosto che sulla base del proprio agire ecologico. I campi non si spostano, alcuni km o differenze di decine di metri possono generare condizioni molto diverse per il singolo agricoltore. E’ questo il caso dei mercati che stabiliscono un limite chilometrico o socio-territoriale (solo gli agricoltori che sono a meno di 30 km o solo quelli della provincia di Bologna), è il caso del regolamento del comune di bologna sui mercati a km0, ma anche quello dei regolamenti dei “mercati della terra” targati Slow Food.

    La scelta di restringere la partecipazione ai mercati cittadini solo alle aziende di un certo territorio (scelta sicuramente motivata sulla base di criteri del minor impatto ambientale) può, in altre parole, produrre effetti non voluti perché non tiene conto delle singole specificità aziendali. Si tendono a trascurare aspetti relativi alle modalità “contestuali” della produzione e della vendita (ad esempio: quanto prodotto si vende per km percorso? Quanta energia non rinnovabile si è utilizzata per produrre quel cibo? Che tipo di rifiuti sono stati prodotti o verranno prodotti durante il ciclo di vita di quel cibo?).

    I regolamenti dei mercati a km0 escludono dalla partecipazione ai mercati le aziende agricole al di fuori di un certo range chilometrico, ma poiché la legge di regolamentazione della vendita diretta consente agli stessi agricoltori di vendere fino al 49% di prodotto non proprio, le conseguenze di questo principio diventano di fatto un privilegio per le aziende del territorio che acquisiscono quote di mercato cittadino solo per il fatto di appartenere al territorio. Diventa evidente che la sola distanza territoriale tra luogo di produzione e luogo di vendita è una discriminante che da sola è inadeguata e che può diventare semplicemente discriminatoria!

    L’impatto ambientale

    L’idea di “carbon footprint” lega la vita di un prodotto (dalla produzione al consumo) all’impatto che quel prodotto ha sull’ambiente, valutato come quantità di CO2 immessa nell’aria (e cioè come “impronta carbonica”), ed è una misura più raffinata perchè tiene conto di un numero di fattori maggiori rispetto alla più semplice idea di km0. Prendiamo, ad esempio, due aziende ad alcune decine di kilometri l’una dall’altra che praticano l’agricoltura in serra. Nella prima il riscaldamento della serra avviene attraverso l’uso di combustibili fossili, nella seconda (quella più lontana) le serre sono riscaldate attraverso la fermentazione del compost. A parità di condizioni l’azienda che usa il compost pur essendo più lontana avrebbe un’impronta ecologica più bassa.

    Sarebbe, quindi, più giusto calcolare l’impronta ecologica dei singoli prodotti per discriminare le aziende, ma anche questa misura non è sufficiente perché trascura una moltitudine di altri fattori.

    Bisognerebbe mettere a punto degli indicatori più complessi che siano in grado di considerare una pluralità di parametri: non solo il luogo di produzione, ma anche le condizioni di produzione (con quali mezzi è stato ottenuto, quali concimi, quali antiparassitari, erbicidi, sementi), le condizioni di magazzinaggio (trasporti, refrigerazione, trattamenti, ecc.), le modalità di confezionamento (conservanzione, packaging, trasformazione, ecc.) il trasporto (tipologia dei mezzi di trasporto impiegati, capacità di carico per grammi di CO2 emessa) e, infine, le stesse modalità di vendita (unità di prodotto venduto per chilometri percorsi).

    Bisognerebbe procedere ad analisi più complesse e prendere in considerazione i molteplici fattori che concorrono a generare l’impatto ambientale negativo o positivo di un prodotto. I risultati di queste analisi discriminerebbero con più precisione della semplice lontananza territoriale della produzione dal luogo di vendita, indicando comportamenti ed aziende agricole virtuose (tali da avere un impatto ambientale positivo) e stimolando al contempo gli agricoltori a fare di più e meglio.

  • 19 giugno, Genuino Clandestino, il libro love Piazza Verdi

    GIOVEDÌ 19 GIUGNO 2014 IN PIAZZA VERDI

    nell'abito della campagna “I love Piazza Verdi” organizzata dal CUA (Collettivo Universitario Autonomo)

    PRESENTAZIONE DEL PROGETTO di libro fotografico: Genuino Clandestino: Inchiesta itinerante sulle resistenze contadine e cena di autofinanziamento.

    Vi ricordiamo che è attiva la campagna di crowdfunding su Produzioni dal basso, dove col vostro contributo potete rendere possibile la realizzazione del libro e pre-acquistare una o più copie.

    gcthebook locandina piazza verdi

  • Mercoledì 11 presentazione libro Resistenze Contadine

    MERCOLEDì 11 GIUGNO 2014 a Làbas Occupato, via Orfeo 46 a Bologna.

    ORE 20.00: CENA DI AUTOFINANZIAMENTO

    ORE 21.30: PRESENTAZIONE DEL PROGETTO di libro fotografico: Genuino Clandestino: Inchiesta itinerante sulle resistenze contadine.

    E’ attiva la campagna di crowdfunding su Produzioni dal basso, dove col vostro contributo potete rendere possibile la realizzazione del libro e pre-acquistare una o più copie.

    presentazione 11 a labas

    Dsl progetto:

    Pur senza voler cristallizzare nella forma scritta la realtà di genuino clandestino, vuole contribuire a diffondere l’esperienza concreta maturata in questi anni, raccontare le storie di scelte – individuali e collettive – di vita rurale e di percorsi cittadini verso l’economia solidale e rendere disponibile a un pubblico più ampio la riflessione politica del movimento. Proprio come fa Genuino Clandestino, vuole comunicare la teoria a cominciare dalle pratiche.

    Vuole comunicare realmente ai giovani una strada per scegliere la terra come fonte di sostegno per la propria vita, se non si hanno a disposizione grandi investimenti.

    Vuole far vedere quale è l’alternativa ai posti di lavoro che l’industria della cementificazione crea.
    Da dove si può uscire dalla crisi.

    Vuole affascinare chi non ne sa nulla di economia solidale con la bellezza dei volti contadini.

    Vuole essere un compagno di viaggio nella ricerca della propria identità.

    Vuole contribuire a ridefinire l’immaginario collettivo della produzione del cibo.

    Perché di questo si tratta, di facce e mani che lavorano la terra e aggiustano oggetti, riappropriandosi del diritto di esistere.

     

     

     

     

     

  • Dall’osservatorio mense scolastiche

    Ieri 5 maggio i bambini e i loro genitori hanno scioperato, portandosi il panino da casa… i motivi di una protesta

    riportiamo alcune notizie pubblicate da Eat the Rich – Vag61 e i link per approfondire

    #questamensanoncipiace

    Oggi la mensa Eat the Rich! – Vag61 appoggia lo sciopero indetto dall’Osservatorio Mense Scolastiche – Bologna. Sostiene chi da anni prova ad ottenere per i propri bambini e bambine un pasto che sia buono e con un prezzo sostenibile. Chi è fortemente convinto che l’educazione passi anche da cosa e come si mangia, chi riconosce che mangiare in un piatto che non sia di plastica, un cibo che provenga da un campo in cui si rispetta la natura e dove non c’è sfruttamento, siano elementi di un momento della giornata affatto neutro e pacifico, dove c’è ancora tanto da strappare e provare a riscrivere dal basso. Di fronte invece ci si trova un’istituzione quale il Comune di Bologna che in totale conflitto di interessi è socio di maggioranza della società partecipata (Seribo) che in 3 anni ha fatto utili per 6mln di euro, e questo a fronte di tariffe per i pasti fra le più care in Italia e in continuo aumento, nessun miglioramento del servizio e ascolto delle richieste dei genitori… Continua a leggere sul sito di Eat the Rich!

    Per maggiori informazioni Osservatorio Mense Bologna.

    Roberta

  • FICO (Fabbrica Italiana COntadina) – C’era una volta la campagna…

    FICO (Fabbrica Italiana COntadina) – C’era una volta la campagna…

    Gli uomini mangiavano ciò che essi non avevano coltivato,

    più nessuno vincolo li legava al proprio cibo

    la terra si apriva sotto il ferro e sotto il ferro gradatamente inaridiva:

    nessuno c’era più ad amarla o a odiarla.

    Nessuno più la supplicava o malediceva.

    J. Steinbeck, Furore, 1939

    C’era una volta la campagna.

    Nella campagna ci vivevano i contadini e le contadine.

    Era una vita dura, povera, a volte forse anche felice.

    Era dura soprattutto perché la terra non era quasi mai di chi la lavorava.

    Poi sono arrivate due guerre. Poi sono arrivate le sirene delle fabbriche.

    In molti sono stati ammaliati dal loro canto. E sono morti: di silicosi, di tristezza, di amianto o di appartamento. E in campagna sono rimaste solo le “trattrici”.

    E la campagna si è trasformata in una fabbrica. Una Fabbrica Omologata a Cielo Aperto.

    Bisogna fare così e basta. Perché l’ha detto il tecnico, l’associazione, il consorzio, il Mercato. Bisogna fertilizzare, diserbare, avvelenare, produrre, fertilizzare, diserbare, avvelenare, produrre.

    Per niente. Per poter continuare a lamentarsi ogni anno del prezzo delle mele troppo basso. Perché è così, l’ha detto il Mercato. L’ha detto la Grande Distribuzione.

    Avanti e indietro, avanti e indietro, le trattrici rivoltano la terra per un paesaggio fatto su misura per gli aeroplani.

    Si montano e si smontano pezzi dentro i solchi o lungo le file, pezzi destinati a diventare mangime industriale. I contadini, ridotti a “fantocci meccanici” dentro le cabine delle trattrici, non toccano più la terra. Solcano i campi come Grandi Magazzini. Muletti, nastri trasportatori, catene di montaggio. Controllo qualità, pezzatura, velocità, quantità, efficienza.

    Barbabietole da zucchero, mais, frumento, medica, patate, barbabietole da zucchero, mais, frumento, medica, patate, barbabietole…Monocolture a rotazione, quando va bene, per ettari ed ettari…

    Nel frattempo le città sottovuoto mangiano queste tonnellate di monocolture confezionate in meravigliosi packaging di design. Nel frattempo le città, trasformate in ologrammi di se stesse, abbandonano i propri centri al consumo e alla museificazione. Le periferie, non più campagna, non ancora città, si ingrossano di palazzine e si fanno chiamare new towns. La suburbana, il giardinetto, il posto auto garantito e il gioco è fatto. Le nuove città invisibili.

    Nel frattempo il centro si decentra e diventa centro commerciale. Ogni new town ha il suo. C’è n’è per tutti i gusti al centro commerciale, dal frappé bio-vegan alle patatine di Mc Donald.

    Nel frattempo il pianeta malato richiede una cura ed ecco il miracolo: “lo sviluppo sostenibile”, “la crescita verde”, “la green economy”, fonti battesimali dentro cui un sistema distruttivo si purifica dal suo peccato originale facendo quotidiani impacchi di coscienza. Produrre e consumare verde per poter continuare a produrre, a consumare e a crescere.

    E soprattutto a crescere. Ma lenti. Slow. Quale verde? Quale madre terra?

    Così nasce Slow Food, la più intelligente operazione di rilancio del made in Italy agroalimentare, pardon, made in Eataly. E il cibo diventa moda, status symbol, Spettacolo: è l’era dello Show Food.

    E ciò che va di moda non può che essere FICO.

    FICO: Fabbrica Italiana COntadina.

    C’era una volta la campagna. E c’era la città con le sue fabbriche. C’erano una volta il settore primario, l’agricoltura, quello secondario, l’industria e quello terziario, i servizi. Là dove c’era la campagna prima arrivò la fabbrica della campagna poi arrivò FICO, il museo della fabbrica della campagna, una falsa campagna in una falsa città, il primo centro commerciale in cui primario, secondario e terziario trovano un’illusoria e incelofanata sintesi. La Disneyland del cibo, è già stata giustamente definita. Una città fatta di cartone e di illusioni, dove si potrà passeggiare oziosamente di sala in sala ammirando le sue nuove collezioni tra un brunch e un coffee break. Al posto della sala “Rubens” ci sarà la sala “Vigneto”, al posto della sala “Goya” quella “Frumento”. Il melo interpreta se stesso annoiato davanti a una guida come una statua del museo delle cere. Ancora una volta: museificazione, consumo e spettacolo. La Fabbrica Imbalsamata COntadina. La coltivazione stessa perde il suo valore d’uso e diventa conservatorio e spettacolo. Presunte frotte di turisti, annoiati dallo shopping e dai musei dei centri cittadini ormai svuotati di senso, andranno alla ricerca di favole sulla cara vecchia campagna ridotta a simulacro di se stessa e a un “Last Minute Market” a km 0 che trasforma gli avanzi della Grande Distribuzione in radical cibi “slow” e le zucche in carrozze luccicanti.

    Lontano, in sordina, senza pubblico e senza visite guidate, le zucche continuano inoperosamente a fare le zucche e alcuni umani continuano a zappare tra le file dei cavoli. Non sono operai di una fabbrica a cielo aperto. Non sono pezzi di una macchina in funzione. Non sono fantocci meccanici. Non sono statue di un museo. Vivono in campi bradi, disordinati, tra sterco ed erbe selvatiche. Ci sono ratti, uccelli e insetti in quantità, ci sono cassette sparpagliate ovunque, ci sono versi sguaiati e odori acri. C’è fango. Non è fico materiale da Expo-sizione. Non è FarmVille, la fattoria virtuale inventata da Facebook. Non c’è sterilizzazione possibile. Ci sono soltanto la fatica e la gioia di maneggiare gli elementi per trasformarli in cibo. E di terra ce n’è tanta da occupare tutti i futuri inservienti del FICO, se soltanto si ripensasse l’agricoltura daccapo, se soltanto la campagna tornasse ad essere campagna e la smettesse di atteggiarsi a fabbrica, se soltanto i contadini tornassero a fare i contadini e la smettessero di fare solamente gli autisti di trattrici. Allora le palazzine si svuoterebbero, le new towns diventerebbero fantasmi di fantasmi, i centri commerciali andrebbero in rovina e verrebbero invasi dalle erbe selvatiche e FICO sarebbe soltanto un brutto ricordo. Così in molti tornerebbero a mangiare ciò che hanno coltivato e non ci sarebbe nessuno scarto da magazzino da riciclare in luccicanti ristoranti natural-chic.

    Intanto uno spettro FICO si aggira per Bologna.

    Cala il sipario sulla sala Vigneto, cala il sipario sui meli di cera, l’ultimo cameriere Eatalyano si aggira nella periferia buia in attesa di un People Mover qualsiasi che lo riporti alla sua new town. In mano uno vassoio di alluminio con gli avanzi degli scarti a km 0. Di lì a poco si potrà sedere alla sua tavola Ikea per consumare la cena. Non perderà occasione di innaffiarla con un buon vino “Ridato alla Mafia” o con un succo di pera “MuoriVerde”.

    una riflessione di Marzia e Mattia (contadin* di Campi Aperti)

  • Si parla di terra al Pratello R’Esiste

    Ore 15.00-17.00 Piazza San Rocco – Dibattito “Terra bene comune: racconti di resistenze contadine”, con la partecipazione di Campi Aperti per la presentazione del manifesto e della campagna “Terra Bene Bomune”, Caicocci terra sociale (Umbria), Mondeggi bene comune (Toscana), coop. Arvaia, Accesso alla terra e Foglia di FICO.

    Qui il volantino col programma completo [gview file=”https://www.campiaperti.org/wp-content/uploads/2014/04/pratelloresiste-programma-25-04-2014-esec.pdf”] 

  • Storia di pianura…approdando all’accesso alla terra

    Storia di pianura…approdando all’accesso alla terra

    Stara_planina2

    Da settembre 2013 a circa 500 m da noi in linea d’aria vivono Marco ed Eleonora con i loro figi Alice e Valerio.

    Sono di origine bresciana e non è stata certo una scelta semplice quella di cambiare completamente luogo e abitudini di vita nel giro di 1 anno, è inutile negare che occorre sì coraggio ma anche una bella dose di determinazione.

    In realtà tutto è avvenuto molto rapidamente. Nel settembre 2012 al rientro da una loro vacanza si sono fermati qui da noi per qualche giorno per vedere casetta Bellaria , una casa di campagna di appena 100 metriquadri (in campagna 100 metriquadri sembrano sempre pochi..). Non credo che molte persone potessero vedere un futuro in quella casa, poichè quella casa che per noi rimane casa Golfari, aveva un vissuto forte, difficoltoso, che traspirava dai muri, dal colore annerito delle stanze, dall’odore misto di fuliggine, polvere e soprattutto odore selvaggio di cavallo.

    Prima di parlare del presente non possiamo non parlare di Golfari, allevatore di cavalli da salto che qui ha abitato dalla fine della guerra. Una persona che ha praticato resistenza contadina per tutta la sua vita, allevando cavalli allo stato brado, detestando la chimica fin dal suo avvento e soprattutto salvando un angolo di pianura dall’appiattimento e dall’abbruttimento che domina dove si pratica agricoltura convenzionale.

    Non possiamo non ricordare l’energia che si sprigionava quando insieme a Golfari ci recavamo al centro del recinto, territorio esclusivo dei cavalli, in cui vivevano in branco senza alcuna protezione, se non quella degli alberi, partorivano accerchiando la cavalla senza mai permettere a nessuno e nemmeno a Golfari di potere assistere ad un parto ed ovviamente correvano liberi e talvolta morivano.

    Queste pratiche hanno permesso di creare un luogo insolito che non può non attrarre chi ama il confondersi intricato delle varietà di alberi, arbusti e erbe selvatiche (quella che in termini tecnici si definisce BIODIVERSITA’ ). E’ ovvio che solo dei sognatori riescono a cogliere la magia poichè  gli agricoltori limitrofi vi hanno sempre solo visto confusione e pazzia.

    Anche noi siamo consapevoli che Igino Golfari non è mai stata una persona comoda nelle relazioni, sì famoso per i suoi agili ed eleganti cavalli, ma anche scontroso soprattutto con i prepotenti: non sono pochi i casi in cui cacciatori, testimoni di Geova, solo per fare alcuni esempi, si sono visti minacciati da bastoni e anche picchiati.

    Perchè questa è l’altra faccia di una persona che ha scelto di resistere, che ha portato con sè in ogni momento i ricordi impossibili da elaborare, della guerra vissuta in Grecia.

    Ma la storia di casetta Bellaria di Marco ed Eleonora e la storia di Golfari sono unite da un passaggio che vede 2 nostri amici biologi, David e Marco, innamorarsi di quel luogo selvaggio e acquistare terreno e fabbricati da Golfari salvandolo dall’impoverimento  innescatosi nel mondo dell’ippica.

    Igino ha così potuto vivere gli ultimi anni della sua vita in usufrutto, ovviamente mantenendo intatte la sua tenacia, le sue tensioni e i suoi ricordi di una vita resistente!!

     

    Quindi attraverso passaggi di intenso vissuto umano siamo riusciti a creare un inizio di piccola comunità rurale.

    E’ stato attraverso il dialogo e con passione che abbiamo acquistato e salvato 12 ettari in tutto tra noi e loro proprio quando intorno il latifondismo di pianura ha visto il rifiorire e i piccoli agricoltori convenzionali hanno venduto a proprietari, alcuni dei quali sono arrivati ad acquistare in tutto oltre 2000 ettari in una decina di anni.

    Ma torniamo a chi resiste e a chi trasforma la propria realtà attraverso l’energia dei sogni….

    Il  percorso appena iniziato da Marco ed Eleonora abbiamo pensato che fosse giusto farlo descrivere direttamente da loro e così Marco ha raccontato il suo cambiamento esplicitando qui di seguito la sua naturale identificazione tra vita e sogno.

    “Circa un anno prima di decidere stavo leggendo il libro “Non prendeteci per il Pil”  e mi sono detto “basta!” ! Ho cominciato a provare repulsione per la vita che conducevamo, ero diventato cosciente del fatto che alimentavamo il sistema del pil con la nostra vita. E abbiamo iniziato ad affrontare discorsi riguardanti la voglia di cambiare e sapevamo che molte famiglie affrontano questo tema ma pochi riescono a trasformare le parole in azione.

    Ma quando decido fermamente una cosa, non sento più il peso delle difficoltà, perchè sento che è la cosa giusta quindi mi risulta semplice superare gli ostacoli e non percepirli come tali.

    Il passaggio verso la vita contadina mi è risultato naturale, perchè rappresenta un ritorno alla terra e fare l’orticoltore e sentirmi a mio agio è legato alla naturalità di questo lavoro, la cosa più vicina all’uomo. Perchè produrre ortaggi rappresenta il primo passo verso la sussistenza.

    Prima ero operaio in un’industria casearia e pianista JAZZ.

    Sono consapevole del fatto che produrre ortaggi è un lavoro comunque faticoso, talvolta mi impegna più ore, ma non lo percepisco come lavoro poichè non rientra in schemi lavorativi della società, schemi innaturali.

    Questo passaggio di vita che ovviamente presenta le sue difficoltà di adattamento( come l’acqua calda che non si da per scontata e il calore con la legna non si ottiene schiacciando un bottone) ci ha permesso di eliminare il mutuo che pesava sulla casa di Brescia e tante spese accessorie, per esempio lsa mensa e le attività per i bambini necessarie quando si vive senza verde.

    Questo luogo con la sua ricchezza in termini di biodiversità e di naturalità lo abbiamo trovato così a disposizione, quasi come un regalo.

    Una bella fortuna avere l’accesso alla terra senza doverla acquistare e che terra!!

    Cosi ho chiamato la mia nuova realtà ORTOPIANO per 3 motivi:

    Orto e pianoforte

    Orto in pianura

    Orto dove si va piano.

    Qui i ritmi sono più naturali, per non dire lenti

  • Convegno: “Risorse e denaro pubblico, chi decide?”

    convegno risorseConvegno: "Risorse e denaro pubblico, chi decide?"

    15 FEBBRAIO DALLE 10H, VIA ZAMBONI 38, BOLOGNA.

    Un fatto nuovo sta segnando l'attualità della crisi in Italia! Da alcuni mesi movimenti, comitati, associazioni e centri sociali stanno affermando collettivamente la costruzione della sola grande opera di cui la nostra società ha bisogno: casa, reddito e dignità per tutti e tutte. Mentre il governo Letta in continuità con i governi precedenti dirotta il denaro pubblico nella casse delle banche e promuove finanziarizzazione e sostegno alle imprese, il conflitto sociale agito durante l'autunno ha mosso resistenza e tracciato un'alternativa non retorica e ideale alla crisi, ma composta di iniziative di lotte concrete e sempre più massificate.La sollevazione generale del 19 Ottobre ha avuto la forza collettiva di porre la grande domanda politica che interroga la vita di milioni di uomini e donne, a cui solo le elites italiane ed europee stavano dando risposta: chi decide del denaro pubblico? Dopo quella straordinaria giornata di lotta e gli importanti appuntamenti precedenti e successivi, a tentare una risposta collettiva, a ricercare insieme i mezzi per praticarla, finalmente ci sono anche i movimenti sociali, non più nella loro esclusiva, quanto importante, dimensione locale o singolare, ma aperti alla relazione e al potenziamento reciproco, come ha reso manifesta la partecipazione di massa all'assedio del 19 ottobre romano.

    La decisione sulla spesa pubblica non è più affare di banchieri, commissioni della UE, lobby imprenditoriali, e dei corrotti che siedono le poltrone del parlamento e delle amministrazioni locali e regionali, ma è anche e soprattutto per quel che interessa a noi terreno di lotta e conflitto sociale, terreno di sollevazione politica contro il regime dell'austerità e della precarietà.

    Con questo incontro vogliamo prendere il tempo per discutere insieme delle risorse e del denaro pubblico nella crisi a partire dalle lotte che incidono sui territori. Siamo convinti che sia necessario iniziare a lavorare per costruire un sapere collettivo quanto antagonista che investa l'argomento e che sia all'altezza della sfida lanciata. D'altronde denaro pubblico per le controparti diviene subito argomento di giustizia penale e amministrativa, si fa “governance” spietata che mette in conto la devastazione dei territori e la morte per malattie indotte, per lavoro o povertà di milioni di uomini e donne. 

    Per noi, movimenti, affrontare la questione è anche l'occasione per verificare le capacità collettive che abbiamo in questo momento di essere agenti del contropotere nel conflitto dei territori sociali, e avanzare istanze di legittimità di riappropriazione del welfare, facendo sì che la risposta alla domande “chi decide del denaro pubblico” dai cieli della finanza, della UE, e delle lobby al potere scenda in basso tra le case occupate, tra pezzi di quartieri autogestiti, nelle scuole e nelle facoltà ribelli, nelle valli e nei territori in rivolta, durante i picchetti contro uno sfratto o ai cancelli di un magazzino.

    Il Laboratorio Crash invita i movimenti, i comitati di lotta e il

    sindacalismo conflittuale di Bologna e del resto d'Italia a prendere parola e a contribuire alla discussione.

    Partecipano:

    Movimento NoTav
    Movimento NoMuos
    Blocchi Precari Metropolitani – Roma
    Coordinamento Cittadino di Lotta per la Casa – Roma
    SMS/Abitanti San Siro – Milano
    Orizzonti Meridiani – Palermo
    Univercity
    Movimento NoGas – Caserta
    Comitato Sisma 12 – Bassa Modenese
    Campi Aperti – Bologna
    No Tav Terzo Valico

    Per i dettagli del programma Convegno: "Risorse e denaro pubblico, chi decide?".

  • Eat the Rich e Foglia di Fico – 12e13 febbraio

    Venerdì sera siamo stat* a Vag alla cena/assemblea di Eat the Rich. Più cena che assemblea. Ci volevano loro per rimetterci a parlare intorno a un tavolo invece che sempre in assemblee… e ci voleva!

    Mercati contadini biologici, Gas, consegne delle arance solidali da Rosarno, e ora anche le mense autogestite Eat the Rich. Tutti i mercoledì a pranzo al Vag, in via Paolo Fabbri, e il lunedì a cena al Berneri, a porta Santo Stefano. Per ora… Mense a prezzi popolari o offerta libera, con prodotti biologici.

    Insomma, Bologna is burning. Il cibo biologico invade la città. Insieme a chi lo coltiva, chi lo cucina e sì, pure i più fortunati, che se lo mangiano e basta!

    Le battute si sprecano. Me ne fate dire una?

    Questo è soul food (cibo per l'anima), altro che…

     Mercoledì 12 febbraio il pranzo di Vag-Eat the Rich è stato dedicato a sostenere l'organizzazione della serata di giovedì 13, promossa dalla Foglia di Fico, e che in sostanza serviva per le spese per la sala del Silentium, a Vicolo Bolognetti. Perché con il patrocinio del Comune costa 80 euro, se no 180.

    Noi chiaramente sosteniamo il comune…

    Mercoledì 13 pranzo a Vag, dalle 12.30, giovedì 14 aperitivo e discussione a Vicolo Bolognetti, dalle 19.00, parleremo di Terra Bene Comune, F.I.CO., grandi opere, bene pubblico e interessi privati. 

    Saremo là, con le nostre alternative, locali, reali, alternative alle proiezioni mostruose e fantascientifiche da business dell'agroalimentare.

    Vi aspettiamo.

     

     

    Roberta

  • La foglia di fico. Cosa nasconde la nuova grande opera bolognese

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    La foglia di fico si presenta e apre alla città un momento pubblico di discussione sulla nuova grande opera bolognese F.I.CO.
    La Fabbrica Italiana COntadina (F.I.CO.) vuole essere un parco giochi del cibo e della sua filiera.
    A chi serve?
    All'agricoltura? All'economia? Ai lavoratori? Agli speculatori? Ai poteri forti?

    Giovedì 13 Febbraio
    Sala Silentium, Vicolo Bolognetti 2

    19.00 aperitivo con prodotti di Campi Aperti
    20.00 Assemblea Pubblica
     

    Rivendichiamo il diritto collettivo a decidere dell’uso e destinazione dei territori in cui viviamo e della provenienza dei cibi che mangiamo.
    Rivendichiamo la difesa della nostra salute e dei nostri territori, contro la precarizzazione del lavoro e la Grande Opera F.I.CO. che completa l’accerchiamento di Bologna tra Passante Nord, TAV e Variante di Valico.

    http://fogliadifico.noblogs.org/home/